Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick è un epico racconto visivo delle origini di uno dei più grandi romanzi statunitensi, Moby Dick or the Whale (1851), di quell'Herman Melville (1819-1891) che si ritrovò ben presto a “far fronte al problema più cruciale della società: come guadagnarsi da vivere senza disperdere la vita” (per dirla con Geminello Alvi, Nel mare insidioso della vita) e quindi, da “marinaio che ha studiato”, divenne immenso letterato (così Cesare Pavese nella prefazione alla sua traduzione del 1941) per sempre ossessionato da Nathaniel Hawthorne (come ricordato nel film e al quale dedicherà proprio Moby Dick).
E allora Ron Howard (Apollo 13, Rush, Frost/Nixon, tra gli altri) realizza l'adattamento cinematografico di un altro romanzo, del 2000, Nel cuore dell'oceano - La vera storia della baleniera Essex, con il quale Nathaniel Philbrick (notare il nome) narra le truci vicende della baleniera Essex, reale ispirazione per Herman Melville (è un giustamente riflessivo e meditabondo Ben Whishaw, cagionevole John Keats in Bright Star).
L'anziano Thomas Nickerson (Brendan Gleeson, per i più giovani è Alastor Malocchio Moody di Harry Potter e l'ordine della fenice, qui burbero e commovente al punto giusto; mentre da piccolo è il timido e vispo Tom Holland) è uno dei pochi superstiti al viaggio dell'Essex, attaccata da quell'immensa balena che è il cuore di incredibili racconti, e così diventa il narratore a pagamento della storia che Melville raccoglie.
Il film ci immerge completamente nel quotidiano della vita portuale e marinaia dell'Ottocento statunitense, con Owen Chase (Chris Hemsworth, il mitico Thor) primo ufficiale dell'Essex da subito in conflitto con il capitano George Pollard (Benjamin Walker), rampollo di una dinastia di imprenditori nel commercio dell'olio di balena. E già qui c'è un primo livello di conflitto, ottimamente rappresentato, tra la giovane generazione di nuovi artefici della propria intrapresa individuale (Chase, il nuovo arrivato che può contare solo sulla propria fatica e competenza), contro il capitalismo delle rendite familiari (Pollard, insicuro erede dinastico). Ma tutto esploderà nel viaggio ai confini del mondo, alla ricerca del rifugio nel quale si sono isolati i cetacei in fuga, per scampare agli assalti degli ingordi umani, poiché l'olio di balena è il petrolio alle origini della rivoluzione industriale.
Dispersi in un Oceano “che diviene deserto”, per quanto è immobile, vasto e assolato, i nostri “eroi”, marinai, rinnegati e reietti (come scrisse C.L.R. James) conosceranno l'abominio per tentare di sopravvivere alla violenza che hanno scatenato continuando ad esercitare la loro violenza di saccheggiatori della “natura”, con la cattura delle balene. E qui il film diventa definitivamente “epico” nel senso letterale del termine, inscenando la lotta dell'individuo con le diverse forme di male e paura che la vita ci porta in sorte (la stupidità degli umani, la sopraffazione, il rapporto con l'ambiente e le risorse naturali, la miseria, la fame, gli stenti, la follia, etc.).
Ron Howard riesce a miscelare perfettamente effetti speciali e dialoghi da confessioni esistenziali, in un confronto tra diverse forme di umanità, che tendono a “diventare animali”, con la balena che a tratti appare “umana”, senziente, una sorta di King Kong (per esplicita ammissione del regista) e gli esseri umani sempre più sperduti nelle loro incomprensibili vite: eppure determinati a tutto pur di sopravvivere. In controluce la tensione spietata e umana, troppo umana, del capitalismo statunitense, nella sua fase di accumulazione originaria e sfruttamento di beni naturali e di individui, con la battuta finale che accenna, con il massimo di incredulità, a qualcuno che “ha trovato l'olio scavando nella terra”. Dopo l'olio di balena dell'immensa Moby Dick ci sarà “il petroliere”, ma questo è un altro film, che abbiamo già visto, dentro una storia che parla ancora a noi.
Articolo del
11/12/2015 -
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