Quattordici nomination ai prossimi Oscar, una coppia di protagonisti eccezionali come Ryan Gosling ed Emma Stone, un regista, Damien Chazelle, che con la macchina da presa e la musica ci sa davvero fare, come già magistralmente dimostrato con quel capolavoro che fu Whiplash.
Citazioni su citazioni, in un’epoca dove la rievocazione del passato porta fortuna (un esempio di ciò potrebbe essere la gettonatissima serie Stranger Things), La La Land non fa eccezione e tra omaggi a Fred Astaire o a grandi classici come Singin’ in the Rain si conferma il film che, probabilmente, più ha probabilità di emergere agli imminenti 89esimi Academy Awards.
Eliminate le coreografie hollywoodiane, le canzoni dall’imprinting jazz estremamente orecchiabili, le scenografie sfavillanti e l’atmosfera fiabesca in cui tutta la pellicola è immersa, resta qualcosa di più. E ciò che è decisamente interessante in La La Land risiede in quanto di più ordinario: il pretesto narrativo. Una banale, banalissima storia d’amore tra due ragazzi che vivono dei loro sogni, in assenza di quell’amore che distrae dagli intenti di una vita una volta incontrato.
Lei, Mia, bella e solare, impegnata ad affrontare ogni giorno i rifiuti di una crudele Los Angeles e dei suoi studi di produzione cinematografica, che viene messa alla porta dopo appena pochi secondi di provino. Lui, Sebastian, fascinoso pianista in collera con una realtà che non apprezza la sua grande passione, il jazz, che vede ogni giorno morire tra le braccia dell’ignoranza. Due sogni, due arti: il cinema, quello di lei, la musica, quello di lui. Due storie senza tempo che si incrociano, un giorno per caso, sulle note del tema principale del film.
Senza tempo: questa è una delle più interessanti sfumature del film. La collocazione temporale, infatti, non appare affatto limpida e non è un male. Sostanzialmente sembra di essere negli anni Cinquanta, quando il cinema e le sue star erano nel pieno fervore, in un periodo in cui il boom economico si sentiva su più fronti. Ma poi ecco apparire laptop e cellulari, tra automobili vintage, vestitini pastello e mocassini di pelle demodé. Il regista sembra lanciarci un messaggio con questo espediente estetico: il cinema, la musica, come tutte le arti, sono senza tempo. I sogni sono senza tempo. L’amore è senza tempo.
E proprio il banale e inflazionato tema amoroso è il filo conduttore di tutta la pellicola. Mia e Sebastian si incontrano più e più volte, si corteggiano, si interessano l’uno a l’altra. Si rincorrono come qualsiasi essere vivente nella stagione degli amori, la primavera. Si assaporano in estate, coccolati dai raggi di sole e dal calore delle loro sensazioni. Si sentono forti della loro passione, invincibili e audaci nell’affrontare la vita perché quel “folle sentimento” li rende apparentemente invulnerabili e incautamente ottimisti sul futuro che è lì ad attenderli ma che, in realtà, è sempre stato lì, a prescindere dal loro incontro. Fanno delle scelte, giuste o sbagliate, che porteranno a delle conseguenze che segneranno le loro vite in modo, presumibilmente, irreversibile.
E anche questa è una nota di merito di La La Land: ciò che accade nella vita dei personaggi è il diretto risultato delle loro azioni. Le conseguenze di alcune scelte e di atteggiamenti diversi tra Mia e Sebastian saranno il preciso premio (o condanna) di ciò che hanno costruito durante la loro relazione. Nel finale, emotivamente impeccabile, alcune corde dello spettatore si muoveranno insieme a quelle del pianoforte suonato da Sebastian. L’esperienza visiva di La La Land coinvolge un pubblico che, senza scetticismo, entra nei sentimenti dei personaggi e ne deduce lo stato psicologico. Anche se l’amore sembrerebbe un ostacolo alla realizzazione personale, Mia ci dimostra che non è così proprio negli ultimi minuti della pellicola. Damien Chazelle sembra dirci proprio questo: è l’inerzia che uccide i sogni, non le persone che, invece, possono fare la differenza.
Articolo del
09/02/2017 -
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