Choose Life. Per me lo slogan è sempre stato associato a due momenti iconici della cultura pop: gli Wham! e Roger Taylor con le loro t-shirts e poi, ça va sans dir, il monologo di Renton in Trainspotting.
Uscì nel 1996, avevo 13 anni, mi sentivo un’outsider che non apparteneva né al piccolo comune di periferia né alla città straniera nella quale stava diventando adolescente e dalla quale fu portata via senza troppi convenevoli per essere reinserita nel piccolo contesto sociale. Passavo i pomeriggi in casa a leggere e a cercare di capire tutti i riferimenti pop dei miei coetanei che io, in Portogallo, non avevo mai visto né sentito. Quando uscì mi sentii quasi a casa, tra quel gruppo di amici a cui piaceva mascherarsi da duri con l’aiuto delle droghe, ma che sotto sotto cercavano solo di sopravvivere ad una realtà opprimente. Ogni volta che sento un brano estratto dalla colonna sonora mi sento a casa, rivedo il film ciclicamente, religiosamente.
L’annuncio di Trainspotting 2 (T2) è arrivato inaspettato, un fulmine a ciel sereno. Se da una parte ero felice di ritrovare dei vecchi amici, dall’altra avevo il terrore di rimanere delusa e con l’amaro in bocca e che mi rovinasse i ricordi legati al primo film. Volutamente ho visto poche foto dal set, per non crearmi aspettative, anche se non nego che alla fine, il 27 Gennaio, le aspettative erano alle stelle comunque: succede sempre quando ritrovi vecchi amici.
T2 prende spunto da Porno ma non lo segue alla lettera: è un film sui rapporti umani, sulle vecchie amicizie, dolori e gioie che ci sono con i legami stretti che ti hanno visto nella tua fase peggiore. E di come si faccia di tutto per allontanarsi da quell’immagine, che vorremmo non ci appartenesse. Renton, Sick Boy, Begbie e Spud sono sempre li, diversi ma tendenzialmente gli stessi. 20 anni non sono bastati a cancellare quello che erano, che sono, forse ciò che saranno tra 20 anni. Non è un film sulla droga, è un film sulla dipendenza. Sulla dipendenza da situazioni e meccanismi che, anche se dolorosi, conosciamo bene e preferiamo vivere con un dolore che è familiare anziché rischiare di stare male con una cosa nuova. Ed è esattamente ciò che accade: Renton torna a casa e ad accoglierlo trova i vecchi amici, problemi e incomprensioni. Non mancano i momenti comici, surreali, il banter tra i protagonisti è immutato negli anni, ma quello che mi ha colpito di più è sempre la complessità dei personaggi, magistralmente nascosta dal velo della superficialità dei protagonisti. Come nel primo capitolo, anche in T2 la musica gioca un ruolo determinante e devo dire non tradisce, così come non tradisce la regia di Danny Boyle, che riesce a ricreare la stessa magia di 21 anni fa, catapultandoti nell’Edinburgo dei protagonisti. Non mancano dosi di nostalgia e self indulgence con i riferimenti al primo film, ma devo dire che sono stati usati in maniera magistrale, dando l’illusione di memoria anziché mero flashback, contribuendo a creare l’atmosfera piena di rimorsi, dolori, amore e lesionismo presenti già in Trainspotting, alla base della vita dei protagonisti.
Uno dei momenti iconici del primo film, dicevamo, è il monologo di Choose Life. Prevedibilmente anche in T2 Renton ci delizia con una versione aggiornata, talmente tagliente da riuscire a commuovermi. I dubbi e le paure che T2 fosse solo una brutta copia, una brutta operazione nostalgia si sono definitamente dissipati con il buon vecchio Renton che mi propone di scegliere uno zero hour contract. E allora si, choose reality TV, slut shaming, revenge porn – sceglilo con i tuoi amici, scegli qualcuno che ti ami nonostante tutte le cazzate che hai fatto e che farai nella vita, che nonostante tutto sarà lì per te quando ne avrai bisogno, come tu sarai lì per loro. T2 è un film sui rapporti umani, sulla complessità delle relazioni, sull’amicizia. Ed è bellissimo.
Articolo del
28/02/2017 -
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