Maggio 1940, le forze alleate sono circondate sulle sponde francesi tra Dunkirk e Calais dopo la battaglia di Francia, Hitler ha invaso anche la Polonia, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna è divisa da una profonda crisi di governo. Il Primo Ministro, il malato e stanco Neville, si dimette a (s)favore di Winston Churchill: non è amato, non è supportato dal suo partito tantomeno dallo stesso Re ma è l’unico che garantirebbe il supporto dell’opposizione.
L’ora più buia segue il nuovo eletto Primo Ministro nel momento più critico della guerra, per l’Impero, per se stesso e probabilmente per il mondo intero: l’Italia è pronta a negoziare un trattato di pace con la Germania nazista, dove la maggior parte del gabinetto di guerra e del partito spingono per la resa, Churchill è solo nella convinzione che la resa, anche solo intrattenere il pensiero di trattare la pace, sia una nozione impossibile.
Un uomo all’apparenza duro e sarcastico, con la sua storica presenza fisica imponente.. questo è quello che sappiamo, queste sono le premesse del film.
Contro uno schermo cupo, di colori scuri e quasi assenza di luce si apre una finestra, come in un quadro del Caravaggio la rivelazione di uno spettacolare Gary Oldman nei panni, pochi, una vestaglia da camera, di Winston Churchill. Entrambi irriconoscibili: l’attore nella sua elegante performance ed il Primo Ministro, un uomo normale, pieno di ironia e forti convinzioni, a volte difficile ma mai indifferente di fronte alla realtà che lo circonda anche mentre impara a conoscerla, la sua Londra, il suo popolo britannico che in questo momento cruciale diventa unica fonte di realtà e responsabilità.
Il breve ma intenso viaggio di Churchill verso la dichiarazione al parlamento in cui nega ogni possibilità di resa ed invigorisce gli uomini e le donne, non politici ma persone, prepara e sprona la nazione ad una dura battaglia, impossibile da concepire ma necessaria per preservare integrità, orgoglio e giustizia.
Darkest Hour è, di fatto, un film girato per la maggior parte in una sinfonia di ombre a volte impenetrabili dove Churchill è illuminato da tagli di luce ed inquadrature che non lasciano dubbio sul punto di vista; nonostante Oldman sia sempre il soggetto davanti alla macchina da presa la regia e l’uso dell’illuminazione esistono in funzione del suo pensiero, illuminando il suo punto di vista con una potente e toccante chiarezza, sia nel dubbio che nella convinzione che non vacilla. Churchill occupa la storia e lo schermo, senza incombere, senza gridare la propria presenza con grandi gesti drammatici ma con l’eleganza della cinematografia e dell’attore che spesso commuove con pochissime parole, riporta in vita la gestualità del personaggio storico che pochi conoscono, l’uomo dietro il “bulldog con il sigaro”, l’unica persona che fu capace di spaventare Hitler ed allo stesso tempo un dolce marito tormentato dalla responsabilità, uno contro tutti in parlamento.
Wight esprime così l’emotività del film, non ci sono grandi scene epiche di rivalsa o particolari ovazioni da applausi, o momenti drammatici esasperati. Lascia che siano la regia e l’uso della luce ad accompagnare le parole dei protagonisti, fornendo dove necessario supporto o punteggiatura alle perfomance eccezionalmente delicate e toccanti degli attori.
Accenni alla Missione Dynamo, l’evacuazione di Dunkirk che salvò centinaia di migliaia di soldati britannici e francesi, è una nota tra le scene più salienti ma non meno importante nel mostrare l’anima del politico contro la politica e dell’uomo che reclutò uomini comuni per non abbandonare quattrocentomila soldati.
Gary Oldman è Winston Churchill, a stento si intravede l’attore nel personaggio, rappresentato con ironia e finezza, mai una caricatura anche se spesso il primo ministro inglese con tutto il suo sarcasmo, la silouette inconfondibile e la forza di carattere che gli si riconosce sarebbe facile preda di vignettatura. Una piacevole sorpresa è Ben Mendelsohn nei panni di Re Giorgio, quello del Discorso del Re, quello che nell’immaginario comune aveva preso le sembianze di Colin Firth, una presenza difficile da cacciar via e Mendelsohn ci riesce da subito, più somigliante fisicamente al monarca rispetto a Firth, non punta tutto sulla vocalità e si impone con la sensibilità e la regalità della figura di un Re molto umano.
Un film in tempi di guerra che parla di persone, personaggi storici svestiti dei panni ufficiali dei libri di scuola e portati sul grande schermo in vestaglia da casa, con tutte le emozioni e le insicurezze, i dubbi ed il peso della situazione.
Non è la prima volta che Joe Wright si avvicina alla Seconda Guerra Mondiale, e quando lo fece in Espiazione rappresentò tutte le emozioni di una storia, e di un popolo, in un film che toglieva il fiato. In Darkest Hour ha raffinato e concentrato la sua bravura nell’utilizzo di luce e colori attorno a protagonisti di spessore emotivo gigantesco dando vita ad un film che parla direttamente all’anima.
Storicamente accurato, L'ora più buia è attualissimo e completamente, emotivamente comprensibile e comprensivo della realtà storica corrente.
Articolo del
21/01/2018 -
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