Fiona Maye, cinquantanovenne britannica sposata e in crisi con il marito, uno dei principali giudici dell’Alta Corte Britannica, si occupa di diritto familiare. Nota come una persona lucida, ironica e intelligente ma soprattutto inflessibile verso la tutela dei diritti dei minori, anche a costo di diventare impopolare, decide di seguire la vicenda di Adam Henry, un diciassettenne testimone di Geova affetto da una grave leucemia che rifiuta una trasfusione di sangue.
Al di là delle tematiche filosofiche (giusnaturalismo o stato di diritto?) che dal film di Richard Eyre emergono solo secondariamente, ma forse anche inconsapevolmente, è l’aspetto umano che rende The Children Act – Il verdetto una bella storia.
Fiona (una straordinaria Emma Thompson, rigorosa, intensa e trattenuta) si ritroverà a dover scegliere non tra leggi e norme etiche ma tra una scelta di vita o un’altra e dunque di fronte a un dilemma insolubile: che cosa alimenta l’immaginazione di un essere umano e gli dà slancio, la motivazione per vivere? E’ possibile che scelte normativamente giustificate dalla legge siano davvero le migliori per ogni individuo o piuttosto ognuno di noi viene nutrito da sogni, illusioni, immaginazioni che altro non sono che il carburante specifico per la singolarità di ogni uomo e che alimenta in maniera unica la nostra esistenza?
Fiona sa bene che per la sopravvivenza di Adam basta imporre il potere razionale della legge contenuta nel codice delle leggi e che preserva il “benessere del minore”, The Children Act appunto. Anche contro la volontà del ragazzo stesso o della sua famiglia mossa da un credo che invece si rifà ad un sistema di valori particolare. E però, complice il romanzo di McIwan che qui scrive anche la sceneggiatura, un sistema di leggi e codici non basta a regolare e a garantire l’esistenza delle persone. E Fiona questo lo sa bene, anche se come sottofondo, un rumore bianco. Ha passato una vita intera a dedicarsi completamente alla Costituzione, alla giustizia degli uomini, limitando al minimo l’aspetto affettivo e irrazionale, trascurando l’erotismo, l’amore, la sensualità. Insomma, quell’aspetto impalpabile, indicibile, quasi folle di ogni esistenza che si sazia di mistero. E questo anche il marito, Jack, lo sa bene. Quando decide di andare via di casa a lascia Fiona sola, a fare i conti con un’assenza concreta.
La determinata e inflessibile Fiona si ritrova così smarrita e fragile, alla ricerca di un contatto che troverà e cercherà, in deroga all’etica professionale, quando andrà a trovare in ospedale Adam dichiarando di voler comprendere (almeno apparentemente) le ragioni che portano il ragazzo a rifiutare le cure.
Da quell’incontro si produrrà qualcosa di inaspettato, di inafferrabile, di indicibile che può essere riassunto in poche ma efficaci parole: l’incanto di un incontro. Fiona riuscirà, ameno apparentemente, a salvare la vita di Adam, ma non perché farà applicare la legge, bensì perché nell’incontro con lui si renderà possibile quello stato di grazia, quale che sia la sua natura – amorosa, politica, religiosa, mistica - attraverso cui gli individui riescono a uscire dalla solitudine del proprio io e diventano finalmente un noi. A Geova, nel cuore di Adam, si sostituirà Fiona, questo a conferma che la vita non viene alimentata da regole o valori ma da amore, sogni, immaginazioni, poesia, musica e che quando questi scompaiono, noi moriamo.
Certo viene da immaginare a chissà quali profondità linguistiche e di immagine avrebbero potuto prodursi con questo testo, per esempio, in mano ad uno scandagliatore dell’anima come Krzysztof Kieślowski, straordinario nel camminare sul crinale dell’esistenza, nell’immergersi nel guazzabuglio dei sentimenti senza mai darne una soluzione definitiva. Per questo ci saremmo aspettati, in un drammatico finale, almeno di veder piangere Fiona. Piangere copiose lacrime per non aver ascoltato il suo cuore, per aver mancato un incontro. Piangere per tutte le notti passate fuori dalle braccia di un uomo che la desiderava, per tutti i sogni, suoi e di Adam, a cui la morte aveva strappato il futuro
Articolo del
21/11/2018 -
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