“Mi sento come se fossi dentro a un cinematografo, un lungo fascio di luce che attraversa l'oscurità e volteggia. I miei occhi fissi sullo schermo. Le immagini sono costellate di punti e raggi. Sono anonimo e ho dimenticato me stesso. È sempre così quando uno va al cinema. È come dicono...una droga. ”
Lou Reed
Discostandosi dalla fiction, dalla follia glam di Velvet Goldmine e dalla destrutturazione narrativa di Io non sono qui, Todd Haynes torna alla regia, e a porre il suo sguardo cinematografico sulla musica, con The Velvet Underground.
Lo fa attraverso la forma del documentario classico, con un occhio filmico super partes e didascalico, mescolando materiale d'archivio e interviste con un raffinato gioco di montaggio, nel quale le inquadrature poggiano le sue visioni su vortici di split screen. The Velvet Underground, prodotto da Apple Original e presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2021, sublima dunque attraverso la forza dell'immagine l'estetica visionaria della band e le influenze della pop art e della Factory di Andy Warhol.
Partendo dai primi piani in bianco e nero di Cale e Reed, girati proprio da Warhol nella Factory, la pellicola inizia il suo viaggio narrativo delineando l'yin e lo yang dei Velvet Underground stessi: la componente avanguardistica di John Cale e quella più duramente rock and roll e letteraria di Lou Reed, l'anima sperimentale e quella più folle e oscura. A essi si aggiungono, fotogramma dopo fotogramma, gli atri tasselli di un puzzle ben noto: il rapporto che la band ha avuto con Andy Warhol e la sua Factory e ancora Sterling Morrison, Maureen Tucker, la aliena e teutonica Nico, Doug Yule, assieme a numerose testimonianze. I racconti della Tucker e di Cale, uniti a una voice over di Reed da repertorio, risultano centrali a livello narrativo. A essi si sommano via via, tra le altre, le testimonianze di Mary Woronov, La Monte Young, Jonathan Richman, Martha Morrison, Danny Fields e Jackson Browne. La pellicola restituisce così un resoconto corale e plurale sulla storia del gruppo.
The Velvet Underground si spinge poi oltre e, tra le oscurità e le luci, le amicizie e i dissapori che la vita della band si è trascinata negli anni, delinea una fotografia nitida dell'incandescente clima culturale della New York degli anni Sessanta con un occhio puntato sul cinema sperimentale come quello di Jonas Mekas (a cui il documentario è dedicato), sulle derive della musica d'avanguardia da John Cage a La Monte Young, sulla pop art e l'espressionismo astratto, sulla letteratura e la poesia beat di Allen Ginsberg e William Burroughs, sulla rivoluzione sessuale, nonché sulla netta contrapposizione tra la East Coast e la West Coast, tra le allucinazioni oscure i di New York e il caleidoscopio hippie della Los Angeles e della San Francisco di quegli anni, tra l'oblio e il dolore e la pace e l'amore.
Chi conosce alla perfezione i Velvet Underground potrebbe forse storcere il naso alla visione di questo documentario. La forza dello stesso non risiede però nel delineare la storia del gruppo in maniera più che lineare, ma nella potenza del suo flusso audiovisivo e nella sua estetica che Todd Haynes edifica alla perfezione, ricreando quel carattere intenso, mutevole, subliminale di un'epoca e quella grana oscura di colore tipica del sound dei Velvet Underground...
... Different colors made of tears
Articolo del
26/10/2021 -
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