Le trasposizioni cinematografiche o televisive di opere letterarie non devono mai essere giudicate per l’aderenza o meno al romanzo o racconto, ma come opere in sé, che raccontano magari la medesima storia ma con strumenti e grammatiche narrative completamente diverse. Tuttavia, quando si sceglie non un racconto o un personaggio qualsiasi, ma un vero e proprio monumento letterario come il Maigret di Simenon, il compito di discernere cinema e opera letteraria si fa più arduo. In questo caso, però, il maestro settantaquattrenne del cinema francese Patrice Leconte rende tutto più semplice: il suo Maigret, al cinema in Italia dal 15 settembre, non coinvolge, né sotto il profilo squisitamente cinematografico né come omaggio letterario al genio di Georges Simenon. Il film mescola temi e trame di romanzi diversi della serie con protagonista il Commissario Maigret (ben settantacinque romanzi, pubblicati tra il 1931 e il 1972, oltre a una manciata di racconti brevi), seppure dichiaratamente ispirato al romanzo “Maigret e la giovane morta” del 1954, di cui narrativamente conserva tuttavia solo il “fatto di cronaca” principale, cioè l’assassinio di una ragazza di provincia arrivata a Parigi in cerca di fortuna. Il tentativo, evidente ma infruttuoso, è quello di fare del film una sorta di “bignami” del personaggio ormai mitico del commissario francese, un manualetto antologico a uso e consumo di neofiti o aficionados. In effetti, Gerard Depardieu risulta quasi perfetto nei panni del Commissario Maigret, forse con un piglio un po’ troppo malinconico e stanco, al limite del depresso (come se Leconte avesse voluto trasmettergli una sua cifra personale, chissà autobiografica), ma comunque con una coincidenza quasi didascalica al personaggio letterario, nel fisico, nella mimica, nei modi. Per il resto, la storia stenta a coinvolgere, i ritmi troppo lenti, l’intrico troppo elementare, i personaggi di contorno troppo sbiaditi (e, per alcuni versi, “asincroni” con quelli creati da Simenon, come ad esempio la signora Maigret). La fotografia, inoltre, è troppo patinata, le scene smaccatamente da teatro di posa e per tutto il film Parigi è quasi del tutto assente, se non fosse per una quinta di un teatro di posa che ripropone un gigantesco Sacré Coeur, togliendo fascino e poesia al racconto visivo. [Attenzione: SPOILER…o quasi] La sequenza finale, poi, stona a tutti i livelli: Maigret non scomparirà mai, né dalla storia della letteratura né dall’immaginario collettivo, anche cinematografico, tanto meno dalle strade di Parigi, Liegi, New York, dalle coste olandesi e nei sentieri della campagna francese, ovunque le sue storie siano state raccontate! Insomma, il film è capace di deludere sia i lettori accaniti delle vicende del Commissario, che usciranno storcendo il naso e beandosi solo dell’immagine ‘depardieuiana’ di Maigret, sia gli spettatori “vergini”, che non avranno assistito a un buon film noir e forse si saranno anche annoiati un poco. Peccato.
Post scriptum - dovesse esserci un seguito, un consiglio agli scenografi: nell’ufficio di Maigret non può mancare la stufa in ghisa, che inutilmente – noi adepti delle storie del Commissario – abbiamo cercato nelle sequenze del film di Leconte…
Articolo del
19/09/2022 -
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