Presentato in anteprima alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Il signore delle formiche di Gianni Amelio racconta una storia probabilmente sconosciuta ai più, eppure necessaria: la storia del processo ad Aldo Braibanti (un perfetto Luigi Lo Cascio). Partigiano durante la guerra, iscritto al Partito Comunista (che lascerà nel 1947), diventa un intellettuale poliedrico:scrittore (di scarso successo), poeta, drammaturgo, fonda nel piacentino un laboratorio teatrale negli anni 60 (nel quale si formeranno artisti del calibro di Carmelo Bene); appassionato di mirmecologia (lo studio della vita sociale delle formiche),Braibanti ha però, per l’Italia di quegli anni, una colpa imperdonabile: è omosessuale. Si innamora di un giovane studente universitario, Ettore (un bravissimoLeonardo Maltese alla sua prima interpretazione cinematografica), con il quale instaura una relazione intellettuale prima ancora che personale. Quando, nel 62, non viene rinnovato il contratto del torrione dove aveva luogo il centro culturale, Braibanti decide di trasferirsi a Roma, ed Ettore lo seguirà. Scelta che pagherà cara: la sua famiglia, che aveva tentato di ostacolare in tutti i modi la frequentazione di Ettore col Braibanti, rapirà il ragazzo e lo farà rinchiudere in manicomio, dove sarà sottoposto ad una serie di trattamenti psichiatrici disumani (elettroshock); e denuncerà il Braibanti per plagio. L’accusa, dunque, era apparentemente motivata dal fatto che Braibanti avesse circuito e in qualche modo costretto il ragazzo a seguirlo a Roma, contro la sua reale volontà e soprattutto contro la volontà della sua famiglia. Ma in realtà fu un evidente processo contro l’omosessualità, che si concluse con la condanna, caso unico in Italia, a 9 anni di carcere per il Braibanti (ne sconterà 2). Dunque una storia necessaria, dicevamo: perché il film di Amelio ha il merito di riportarci, con una accurata ricostruzione storica, in quell’Italia bigotta e bacchettona che, fortunatamente, cominciava anche a dover fare i conti con una ribellione giovanile che culminerà nel movimento del 68. Anche se la strada per scrollarsi da certi pregiudizi culturali sarebbe stata ancora lunga, e in realtà mai ancora approdata ad un punto di arrivo che possa ritenersi moderno. Nel raccontare il processo subito dal Braibanti infatti il regista evidenzia come anche la figura del giornalista dell’Unità (un sempre credibile Elio Germano) debba scontrarsi con una forte resistenza della sinistra a lottare contro quei pregiudizi morali che ne hanno condizionato una credibilità politica a tutt’oggi ancora in chiaroscuro. Carmelo Bene, nel 1988, disse a proposito del processo al Braibanti: Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia. Ecco: grazie a Gianni Amelio abbiamo la possibilità di staccare quel petalo dal fiore, sperando che non abbia infettato il fiore in maniera irreversibile.
Articolo del
22/09/2022 -
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