“Il mondo è fatto di tanti mondi. Alcuni di questi sono connessi tra loro, altri no.”
Perfect Days di Wim Wenders è la trasfigurazione di un piccolo universo, dallo sguardo analogico, a partire dal formato in 4/3, che racchiude tanti altri mondi, tante immagini dalla potente forza emotiva e contemplativa, dipanate nella quotidianità preziosa e malinconica dell'esistenza.
La delicatezza dei gesti, degli istanti, dei silenzi, delle parole, delle espressioni, vivono nella perfetta ritualità zen della solitudine, nella routine del suo protagonista Hirayama, scandita dal flusso dei rumori e dei colori che lambiscono la sua casa dall'esterno. Il suono di una scopa sul terreno, la luce che filtra lo scorrere delle ore, i movimenti e le abitudini sempre uguali eppure flebilmente differenti tra loro. La reiterazione infinita del quotidiano interiore si mescola a poetici istanti raccolti dal flusso esteriore dell'altro, custoditi in un bacio sulla guancia, in un abbraccio, in una misteriosa giocata a tris, nella gestualità di un homeless che abbraccia un albero, nel desiderio di calpestare le ombre, mentre una Tokyo iper moderna danza con la forma vintage delle cose.
Hirayama ha l'animo di chi scorge la purezza semplice delle cose, di chi vive con pacatezza la sua quotidianità nel traffico delle situazioni, di chi ha fatto una scelta per slegarsi dal suo passato e che nella dignità umile del lavoro, in quei bagni super tecnologici, sembra quasi palesare una sorta di purificazione dell'Io. La sua vita ordinaria seppur slegata dalle vite degli altri, a tratti incomunicabile, si muove in realtà di pari passo con esse, come in Le Palme Selvagge di William Faulkner, uno dei tanti libri che lui legge prima di addormentarsi.
Nel sogno, fatto di ombre indistinte e girato in bianco e nero, rimescola il suo passato e il presente, modellando il tempo e l'immanente potenza delle immagini e, come nelle fotografie fatte con la sua Olympus 35 mm, scorge la luce essenziale della realtà, il komorebi esistenziale, che fluttua tra le foglie degli alberi interiori.
In questo simbolico incontro/scontro tra analogico e digitale, vita, morte e resurrezione, individuo e società, presenza e assenza, luci e ombre, la musica svolge un ruolo fondamentale, ne scandisce i momenti, tra i suoni totalmente strumentali e diegetici al racconto stesso, nel fluire sporco e affascinante dei nastri magnetici delle cassette che Hirayama ascolta. Il nastro diviene forma interiore, oggetto sensibile, anima che parla allo spettatore.
Perfect Days è anche un inno alla musica, al suo potere trascendentale, e Wenders, per descrivere gli attimi di quotidianità del suo protagonista, non opta così per una classica partitura strumentale, ma affida il compito a brani quali: “The House of the Rising Sun” degli Animals, “Redondo Beach” di Patti Smith, “Walkin’ Thru The Sleepy City” dei Rolling Stones, “Perfect Day” di Lou Reed,“Pale Blue Eyes” dei Velvet Underground, “(Sittin’ On) The Dock of the Bay” di Otis Redding, “Sunny Afternoon” dei Kinks, “Brown Eyed Girl” di Van Morrison, “Feeling Good” di Nina Simone e anche una versione giapponese di “The House of the Rising Sun”scritta da Maki Asakawa.
La poesia zen e analogica delle piccole cose e della musica: questo è Perfect Days. Perché è nella fragilità degli attimi che risiede l'essenza di questo film e della vita stessa, come un fermo immagine, come gli occhi colmi di lacrime e sorrisi volti a svelare l'anima, vivendo l'adesso senza rincorrere l'attesa di un altro giorno e la spasmodica ricerca della felicità a tutti i costi.
“Un'altra volta è un'altra volta. Adesso è adesso.”
Articolo del
16/01/2024 -
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