Dopo una parentesi europea, Woody Allen ritorna nella sua amata New York con la strepitosa commedia, Basta che funzioni e lo fa ripescando una sceneggiatura scritta negli anni ‘70 (pensata per Zero Mostel) stracolma di quel milieu intellettuale-artistico che lo ha sempre caratterizzato fin dai suoi esordi, ma da cui emerge un chiaro riferimento ai temi affrontati in Vicki Cristina Barcellona.
Il personaggio principale è Boris Yelnikoff, il classico nichilistica nevrotico tipico dei suoi film, questa volta interpretato dal Larry David di Curb Your Enthusiasm, che in questo film rappresenta a tutti gli effetti l’alter ego di Woody Allen. Sono evidentissimi i richiami alla sua comicità tipica, dall’andatura ai registri utilizzati qualche anno fa. Boris è un anziano che ha fallito il primo tentativo di suicidio e vive in perenne conflitto con il mondo che lo circonda. Un giorno incappa in Melody< (interpretata da una sempre più brava Ellen Rachel Wood) una giovane ragazza di provincia fuggita di casa per trovar fortuna nella Grande Mela, ma che si ritrova a dormire per strada. Boris cede alle sue suppliche e la ospita in casa per una sola notte che si trasformerà in un lungo periodo di convivenza fino al matrimonio. A rompere l’equilibrio che si era creato è la frustrata madre di Melody che riesce a rintracciare la figlia.
In questo suo ultimo lavoro, dove è molto chiara la consapevolezza della propria maturità e sono evidenti le sue canoniche riflessione su ebraismo, psicoanalisi e religione; l’autore compie una nuovo passo in avanti sulla sua personale, seppur cinica, ma veritiera visione del mondo. Uno sguardo sul mondo che viene restituito da subito allo spettatore con il bellissimo incipit che apre il film in cui Boris-Woody si dichiara perfettamente consapevole, ammettendo di essere un genio perché non ha una visione limitata della realtà. La sceneggiatura è eccezionale, colpiscono la precisione e la chiarezza con cui vengono descritti i personaggi e le loro vicende, ognuno di loro è ritratto anche nella sua debolezza e pertanto compreso. Questo non significa che Allen sia diventato buonista, anzi le dosi di cinismo che ci offre anche con questo film sono numerose, ma lascia da parte l’incapacità di piacere generale che aveva preceduto i suoi film, per suggerirci che non è solo la giovinezza ad andarsene, ma la vita stessa. Per questo egli ci porta a una riflessione (terapeutica) sull’umanità per poter migliorarne l’esistenza, ponendo gli accenti sull’aspetto che forse più di tutti condiziona la vita di ogni essere umano: la religione. La soluzione alle frustrazioni, alle insicurezze e all‘insoddisfazione dei personaggi è la totale liberazione dai vincoli religiosi e dal conformismo della nostra società. Questo permetterà loro una (ri)nascita che li porterà all’appagamento e alla realizzazione, e non importa di che forma sia, se un amore omossessuale o un ménage à trois in cui è possibile il credo di un dio gay, l’importante è Whatever Works.
VOTO: 4,5/5
Articolo del
05/10/2009 -
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