A quarant’anni dall’evento musicale più importante in assoluto, Ang Lee con la sua nuova commedia ci immerge dolcemente nelle meravigliose atmosfere di Woodstock mostrandoci la genesi del concerto e portandoci dentro il centro dell’universo in un mondo dove per tre giorni si è vissuto di pace, amore e musica. La storia raccontata da Taking Woodstock è vera. Elliot Theichbberg (impegnato sul fronte per i diritti degli omosessuali) lavora come arredatore al Greenwich Village. Ha, però, un grosso problema perché i suoi genitori, Jake e Sonia, due ebrei fuggiti dall’Europa dell’Est, stanno per perdere a causa dei debiti il decrepito motel che gestiscono a Catskull. Quando tutto sembra perduto, giunge la notizia che gli organizzatori di un’importante manifestazione musicale si sono visti ritirare l’autorizzazione della municipalità di Waltkull. Elliot combina un accordo con la sua famiglia, il mitico Michel Lang e tutta l’organizzazione del concerto, mettendo a disposizione dei terreni e la propria fattoria, dando così vita al più grande concerto della Storia.
Il regista taiwanese decide di soffermarsi sull’aspetto forse più espressivo che riguarda quella manifestazione, tuffandosi nella rievocazione nostalgica e illustrativa di un evento che rappresenta gli ultimi momenti di innocenza di una civiltà che mettendo piede sulla luna affrontava un futuro carico di incognite. In questo luogo ci fu la concretizzazione finale di decenni di controcultura. Se il 1967 fu l’anno del summer of love e il 1968 quello dell’onda di protesta, il 1969 fu l’anno semplicemente di Woodstock. L’evento riunì per una volta le due anime del movimento giovanile, quella hippy e quella del Free Speech Movement, e Ang Lee riesce andare dritto nel cuore dei nuclei mitologici rimasti mescolando con distanza critica e toni da commedia quell’universo, fotografandone tutta l’energia esplosiva e liberatoria sperimentata da un’intera generazione. Il film gira intorno ad Elliot e alla sua famiglia e il regista coglie l’occasione per dare uno sguardo critico nei confronti dell’istituzione familiare, un tema ricorrente nei suoi film. I personaggi, rispetto ad una regia leggera, sono in alcuni momenti un po’ troppo caricaturali da risultare grotteschi, ma nel complesso rimane un‘opera discreta in cui è evidente che Lee non ha voluto dare una propria lettura acritica dell’epoca. Manca il concerto vero e proprio, ma ricordando che la musica era solo il pretesto, Lee vuole soffermarsi sul significato della manifestazione perché come recita uno slogan del film Woodstock vuol dire non esserci mai stati. Quello che importava era il vero senso di comunità, di libertà e fratellanza che si è respirato in quei giorni, un’utopia che ha preso deliberatamente forma per poi scomparire dopo quei mitici giorni.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
26/10/2009 -
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