Pubblicato da Emme Record Label, Amarene Nere è il secondo disco del chitarrista Andrea Infusino, un progetto che si muove perfettamente fra un jazz tradizionale ed uno di stampo più moderno e che senza dubbio riprende il percorso del precedente lavoro, intitolato Beetween 3 & 4, con una maggiore maturità artistica. La band che ha partecipato alla registrazione è composta da Marco Rossin ai sax, Fabio Guagliardi all’organo e Manolito Cortese alla batteria. Abbiamo chiesto ad Andrea Infusino di raccontare ad Extra Music Magazine di questo nuovo disco…
Andrea per cominciare l'intervista partiamo proprio dal titolo del disco: Amarene Nere è la tua seconda pubblicazione che viene dopo Between 3 & 4. Ti va di cominciare descrivendo il disco ai nostri lettori? Il disco “Amarene nere” conserva la vena compositiva che si basa sull’unione di tratti originali, alcuni innovativi e della tradizione. E’ il prosieguo di un lavoro di ricerca ed esplorazione melodica che ha visto la luce con il primo disco “Between 3&4” in cui fanno capolino le composizioni originali guidate da un organ trio aggiunto di sax. Proprio a riguardo entrambi i dischi sono composti dal medesimo gruppo: me alla chitarra, Marco Rossin ai sax, Fabio Guagliardi all’organo e Manolito Cortese alla batteria. Rispetto ai tratti di continuità, che si possono connotare in alcune composizioni risalenti al medesimo periodo di scrittura e che sono confluiti in due pubblicazioni distinte come è Amarene nere e Goldfinch, gli altri brani sono nati da esplorazioni più recenti e hanno caratteristiche piu’ evolute. E’ il caso di Angela’s Whistle, dedicato a mia moglie, o Tavern, piuttosto che richiami a ritmi più mainstream come Sambat e Minor Cliff
Rispetto al precedente a noi è sembrato un disco decisamente più maturo. Ci vuoi raccontare cosa è cambiato secondo te rispetto al progetto precedente? Come preannunciato dalla domanda, sicuramente il gruppo ha interpretato al meglio le composizioni in tutte le occasioni. In “Amarene nere” i miei ottimi musicisti hanno saputo entrare ancora più nel mood dei brani e di quello che serviva per far suonare la mia musica al meglio. Sicuramente le influenze che ciascuno di loro, dovute alle loro intense e proficue attività professionali indipendenti dal sottoscritto, favoriscono l’opera in sé. Come è normale e giusto che sia, dopotutto
Per quanto riguarda il titolo, invece, Amarene Nere: ha un significato particolare per te? Se si ce lo vuoi descrivere? Le Amarene nere, come indicato nella poesia “omaggio” che ho inserito nel disco, non sono altro che le nostre ombre, le nostre paure, un mare che ci inghiotte ma nel cui fondale si può trovare senso e significato, per cominciare o ricominciare, come è stato nel mio caso. Un’espressione forse banale che presta il titolo al brano e all’intero album ma che tengo a cuore per il fatto che rappresenta l’ignoto che si svela, la forza di spezzare delle catene e la paura della libertà, la rinascita che dopo il pianto diventa consapevolezza e costruzione
Raccontaci della tua band, come è nato il tutto, perché hai scelto quegli strumenti e soprattutto quei musicisti: in sintesi come il tuo progetto è nato si è evoluto nel corso del tempo… Grazie a mio fratello che mi ha iniziato e sempre stimolato umanamente e musicalmente, ho sempre avuto un debole per l’organ trio (da Jimmy Smith a Joey De Francesco, passando per Dr. Lonnie Smith). Ricordando a tal proposito la ricchezza dell’organ trio con la chitarra di Wes Montgomery, che a mio avviso ha segnato non solo la storia della chitarra jazz ma anche proprio dell’organ trio, ho voluto e tenuto come base queste esperienze di ascolto. Per dare un mio contributo, al di là di facili confronti e parallelismi, ho rischiato nel compito di prendere in prestito certe forme e dare una personale interpretazione, rispettando e mantenendo i ruoli musicali di ciascuno, al servizio di composizioni nuove e allontanandoci un po’ dal mainstream. Il tutto per raggiungere un completamento con l’ottimo sassofonista e amico Marco Rossin, la cui preparazione e duttilità arrivano tanto ai più fini addetti ai lavori che all’ascoltatore medio. E’ un mio sogno, che fermenta nel cassetto ma non ha visto la luce “discografica”, andare in direzioni avanguardistiche. Ci ho provato con “Exit” in cui ho preso spunto da alea, Schonberg e Coltrane per creare una melodia che fosse maggiore e minore, con un cuore armonico strutturato sui Coltrane Changes che tanto ancora oggi affascinano e impegnano i musicisti di ogni preparazione
Parlaci adesso della tua storia musicale: come ti sei avvicinato alla musica ed in particolare al jazz? E soprattutto cosa ti ha attratto maggiormente di questo genere di musica? Grazie alla mia famiglia, che è il mio tempio e nella quale ho sempre avuto contatto con la musica e tutte le cose belle della vita. Da questo miracolo che ho ricevuto, mio fratello (il mio terzo genitore) mi ha portato a concerti jazz, fatto ascoltare la direzione giusto, finché poi ho intrapreso questa strada da solo. Nell’adolescenza mia, un po’ più travagliata del solito, la musica e il jazz hanno rappresentato quella realtà di espressione che la realtà fisica non mi poteva dare. Abbiate qualsiasi opinione di me, non importa. Chiamatela terapia o nevrosi, ma la musica e il jazz in particolare è stata più volte la bombola d’ossigeno per me e c’è da essere grati a poter avere queste cose nella vita. Grazie alla musica è possibile volare, viaggiare, raccontare o leggere l’umanità. Per me è stato così e nelle mie note, che a volte suonano isteriche a volte più tranquille, c’è questo capitale umano, la mia umanità che è fatta così: senza maschere, potrà piacere o no ma è sincera
Spiegaci anche quali sono i tuoi principali riferimenti musicali e quegli artisti che senza dubbio sono stati davvero importanti per te… Gli artisti più importanti per me sono stati i grandi del jazz, ma in questa occasione e alla luce di un capello bianco in più, posso affermare che TUTTI sono i miei riferimenti musicali e TUTTI sono importanti. Se un maestro è tale grazie anche all’opera di apprendimento dell’allievo, con un ribaltamento dei ruoli in cui il “maestro impara ad insegnare e a togliere il meglio di sè dall’allievo”, allora è stato importante tanto Miles Davis quanto i Daft Punk, John Coltrane quanto Mina, Thelonius Monk quanto Lucio Battisti e Mogol, Charlie Parker quanto gli Incognito, Cole Porter quanto Bruno Mars. Ora chiamatemi blasfemo! (Non posso non citare Andrea Caruso, un giovanissimo e grande maestro del contrabbasso, mio fratello musicale che ora è in giro per il mondo, col quale ho avuto la fortuna di suonare e aprire la mia mente; i miei immensi maestri quali Umberto Fiorentino, Fabio Zeppetella, Ramberto Ciammarughi, Lucio Ferrara; così come le nuove correnti americane quali Rosenwinkel, Ari Hoenig, Louis Cole, Christian McBride, David Kikoski, Mike Moreno, Julian Lage, Jonathan Kreisberg, Alexander Claffy, Lage Lund, Chad Lefkowitz-Brown, Seamus Blake, Colin Stranahan)
Visto che vivi in Calabria e senza dubbio sei maggiormente a contatto con quell'ambiente musicale ci vuoi raccontare anche che aria tira dalle tue parti? Grazie ad alcuni eventi e festival ho avuto la fortuna di ascoltare tanti bei concerti e artisti internazionali di livello. Così come ci sono dei musicisti che riescono a far ascoltare le proprie note qui in Calabria, ho trovato però terreno fertile altrove. E’ per questa ragione che è stato possibile il felice incontro con Emme Record Label, di Rieti, con la quale ho potuto dare vita alle mie note e portarle in giro con orgoglio. Colgo l’occasione per ringraziare gli straordinari Enrico Moccia e Carlo Cammarella. “Nemo profeta in patria” (non mi sento un profeta, ma il proverbio recita così), ma per certe ragioni qui a casa mia ricevo solo porte chiuse in faccia. Per me è un orgoglio, perchè mi costringe a confrontarmi col mondo (con le batoste e le soddisfazioni del caso), non con orticelli. Significativa è la mia ultima esperienza, col fraterno amico e ottimo musicista Giorgio Barozzi, in cui ho avuto il piacere e l’onore di seguire il seminario di Pat Bianchi, accompagnato da Elio Coppola alla batteria e Daniele Cordisco alla chitarra. Nel contesto della fiorente scuola del Centro Musicale Salernitano, del pregiato M° Marco Parisi, fatto di persone straordinarie, ho vissuto una giornata intensa di formazione e allo stesso tempo saggiare il mio livello con uno dei più grandi organisti al mondo, dal quale sono pervenuti consigli ma anche tanti incoraggiamenti e conferme
Per quanto riguarda la scena musicale italiana, legata chiaramente al jazz, invece, che percezione hai? La mia percezione è che c’è tanta cultura e tante persone che la portano avanti con sacrifici e professionalità ed è un peccato vivere talmente lontano da non poterla vivere come merita, nei contesti del caso e oltre le manifestazioni meritatamente note e affermate quali l’Umbria Jazz o Siena Jazz o Fara Jazz
Chiudiamo con uno sguardo al futuro: prossimi live e prossimi progetti, vuoi aggiornarci su qualche novità? Prossimi progetti soprattutto: dedicarmi di nuovo e con freschezza alla composizione e alla sperimentazione di nuove strade. In tal senso sono significative e stimolanti le opere del M° Nicola Pisani e del M° Francesco Caligiuri, il primo mio stimato relatore della tesi di Laurea in Chitarra Jazz e il secondo astro nascente della composizione e del jazz moderno, col quale mi intrattengo e mi stimola sempre con novità e conoscenze. Perciò vorrei comporre materiale nuove, sperimentare qualcosa di meno mainstream e uscire con un nuovo album che rappresenti una ventata d’aria fresca
Articolo del
23/02/2020 -
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