Federico Sirianni è un cantautore italiano, esponente della Scuola genovese dei cantautori. Nel 1992, insieme ad Augusto Forin, Marco Spiccio e Fabrizio Casalino crea il gruppo "La Giostra dei Pazzi". Il suo muoversi incessantemente fra canzone e teatro lo porta a frequentare gli allora poco noti Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, con cui scrive alcuni spettacoli di teatro canzone che verranno poi messi in scena nei teatri genovesi.
Ora torna con un disco davvero molto interessante, lo preannunciamo. E questo perché prima di tutto l’opera pensa e fa pensare, vive di carattere proprio e ai cliché del modo di fare richiede solo qualche eventuale soluzione perché tanto non è prioritario il modo ma il cosa. E finalmente torniamo a sentire musica sentita e suonata, pensata e pesante di significati e significanti. Tutte cose ormai alla deriva nel modo comune di fare e di esserci abituati alle cose. Oggi che la musica vive una deriva di filosofia sociale assolutamente inarrestabile, ancora esistono partigiani della cultura come Federico Sirianni a cui dobbiamo davvero rendere grazie per l’opera che portano avanti. Un nuovo disco aperto e accompagnato da un libro sui molti scrittori ragionano circa l’incollocabilità dell’individuo… come in fondo questo gabbiere di Mutis, Maqroll appunto, sembra voler interpretare. La canzone d’autore, genovese, italiana, di cultura… non è roba vecchia, non è cosa antica… ma anzi, Sirianni la colora anche di un’elettronica finemente ricamata da FiloQ. Un disco da avere… un disco che la rete, per quanto lo immortala anche dentro le sue pieghe, non sarà mai in grado di raggiungere. “Macro” è un disco da sfogliare a mani nude
Forse uno dei più importanti dischi degli ultimi mesi. E cerco di continuo il mio personalissimo “Maqroll” e non lo trovo. Tu l’hai trovato? Più che trovarlo l’ho riconosciuto in diverse parti di me. È per questo che, dal primo incontro, in una libreria a casa di amici, ho capito che dovevo provare a raccontarlo secondo la mia forma espressiva, quella della scrittura canzone. Ci siamo imbarcati in questo viaggio bello e faticoso e spero che la navigazione sia lunga e fortunata.
Spietato sei verso la cosa comune, verso lo stato delle cose. Lo sei poeticamente ma trovo anche che la tua voce, come sempre, cerchi più un dialogo quotidiano che un vezzo melodico. Sei vero e terreno e senza maschere. Che sia un disco di resistenza o di denuncia? Direi più di resistenza che di denuncia. È sicuramente un disco controcorrente, fuori dai canoni contemporanei sia di parola che di suono, è qualcosa di novecentesco e, al tempo stesso, di molto futuribile. L’epoca attuale viene raccontata infatti attraverso una visione storicistica e il viaggio è un movimento lento, sospeso, di attesa, di riflessione e quindi, forse sì, di resistenza alla modalità esistenziale contemporanea.
Pensi che serva ancora denunciare lo stato sociale? Un alto significato di politica questo… Penso che chi fa questo mestiere, cioè il raccontare attraverso la propria forma espressiva, non debba sottrarsi a un compito anche complicato, la lettura personale del mondo che lo circonda. Una volta si diceva “il politico e il personale”, credo che siano i due aspetti della narrazione a cui non ci si possa esimere.
Mi piace la copertina. Sembra un libro di favole (come d’altronde è l’origine del lavoro). Eppure non sono canzoni di favole. Come hai vissuto questa “contraddizione” stilistica? Adoro i contrasti… La copertina è una bella illustrazione di un artista torinese, Davide Fasolo e sì, forse rispetto ai contenuti del disco, dà un’idea più leggera e favolistica del racconto. Però non è stata una cosa intenzionale, lui non aveva realizzato quel disegno pensando alla copertina del disco, sono io che, avendolo visto, gli ho chiesto di poterla utilizzare come immagine di riferimento.
Perché non c’è mai il sole dentro questo disco? Il mood è spesso buio, metropolitano, riflessivo… c’è la pioggia e c’è anche il concitato passo di chi cerca… c’è la sospensione (bellissimo il lavoro di elettronica) e c’è anche qualche radura di “rock” ma sempre in “minore”. È la mia impressione o manca il sole in questo disco? In realtà il disco comincia con la frase “Un sole effimero e sfolgorante accecava ogni gru del molo” e poi, in effetti, non viene più citato e anche questo sole iniziale non è un sole accogliente, ma appunto, accecante. Questo viaggio è un cammino alla ricerca di se stessi, sospeso tra cielo e mare, tra bonaccia e tempesta, tra naufragi e sirene, tra partenze e approdi. Abbiamo utilizzato l’elettronica proprio per restituire questo senso di sospensione, ma è forse non sentendo la terra sotto i piedi, rinunciando alle sicurezze scontate, che si riesce a conoscere meglio qualcosa di sé.
E non ti sei fermato neanche dal vivo. E che ci dici dello spettacolo teatrale? Terza dimensione di questo disco... Per il live ho voluto utilizzare la forma del teatro-canzone, che mi è da sempre congeniale. Lo spettacolo è stato prodotto dal Teatro Pubblico Ligure con la regia di Sergio Maifredi e, dopo la partenza estiva, adesso lo proporremo in molti club italiani con qualche divagazione all’estero
Articolo del
13/10/2021 -
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