Non capita molto spesso che un saggio musicale venga ristampato, in Italia. Per Groupie. Ragazze a perdere di Barbara Tomasino questo avviene, ben 16 anni dopo la prima uscita, datata 2003, per le edizioni L’Epos: segno che se lo merita. Tomasino in effetti è tra le poche in Italia ad aver affrontato l’argomento e per di più in maniera piuttosto seria, poco scandalistica, tesa a capire ragioni e contesti di un modo di vita che oggi sarebbe ostracizzato dal movimento del #metoo e che ai tempi (grossomodo tra i Sixties e i Nineties) era invece una libera scelta, fortemente connessa all’emancipazione della donna da un ruolo sessuale passivo e alla conquista di una sessualità libera.
È un argomento su cui giustamente Tomasino interviene nella “Appendice 1”, scritta per questa riedizione del suo saggio: “Quando ho scritto la prima versione di questo saggio, Michael Jackson [...] non veniva censurato dalle radio, Ryan Adams non rischiava di vedere annientata la sua carriera [...], David Bowie non veniva fustigato nella pubblica piazza, Iggy Pop non veniva demonizzato per aver fatto sesso con l’allora tredicenne Sable Starr [...], e le femministe non dichiaravano guerra ad altre donne che hanno deciso liberamente di fare sesso con i musicisti, condividendo uno stile di vita scatenato, elettrizzante e talvolta doloroso. Questo è, nelle parole di Pamela [Des Barres, una delle prime e più famose groupies] e di tante donne del rock, una scelta assolutamente “femminista” perché considera la libertà sessuale della donna al pari di quella dell’uomo, nonostante la morale comune. [...] Secondo la [sessuologa britannica Catherine] Hakim [...] «Siamo nel mezzo della “New Ice Age”, l’epoca del puritanesimo, in cui l’attrazione viene bandita, si allontana la sensualità, in nome di un femminismo moderno»”.
Tutto vero. Ci sarebbe solo da aggiungere che ancora a fine Ottocento tra le classi popolari ci si sposava a 12 (le donne) o 15 anni (gli uomini) massimo, anche perché erano persone che lavoravano da quando avevano 5 o 6 anni; e che per un centinaio d’anni la società occidentale ha fatto fatica a liberarsi dell’idea che a quell’età non si fosse ancora pronti per vivere la propria sessualità. Paradossalmente, un romanzo come “Lolita” di Vladimir Nabokov (1955), che mostra la passione del vecchio professor Humbert per la dodicenne protagonista (che in qualche modo lo ricambia) come qualcosa di morboso, segnò l’inizio della crisi del vecchio modello. Inizio della crisi non significa però automatica fine.
E se progressivamente sempre più adolescenti tesero a chiudersi in un mondo a parte rispetto agli adulti, ancora moltissimi si considerarono, in quanto teenagers, finalmente entrati nel mondo degli adulti. Tredicenni come Sable Starr e Lori Maddox, come ricorda Tomasino nelle schede ad esse dedicate, andavano loro a caccia delle adulte rockstar di passaggio per Los Angeles. Anche qui, occorre una precisazione sul concetto di “adulto”: gente come i Led Zeppelin o David Bowie aveva sui 22 anni, quando era assaltata dalla groupies, quindi era appena uscita dall’adolescenza a sua volta (oltre a viverci mentalmente ancora in pieno).
Ora il mondo è cambiato: da uomo non trovo minimamente attraente una dodicenne e il pensiero che qualcuno possa concupirla mi schifa; da padre, poi, provo un misto di orrore e ribrezzo per simili rapporti. Ma di certo non posso estendere la mia condanna e la mia riprovazione a un’epoca in cui la mentalità era diversa. Tutto questo perché il viaggio proposto da Tomasino è innanzitutto un itinerario in un tempo e in una mentalità estremamente differenti da quelli in cui vivono le giovani generazioni di oggi. Cosa già evidente nel 2003, all’epoca della prima pubblicazione: per cui quasi 150 pagine delle 316 complessive sono giustamente dedicate alla ricostruzione de “I set delle groupie” (Los Angeles, San Francisco, New York, Londra) e a simboli e immaginario della rockculture che fu.
Si tratta di due capitoli fatti molto bene, molto istruttivi e dettagliati, che lodo nel loro complesso e nel loro impianto, ma che contengono alcuni grossolani errori di cui non mi spiego la presenza nella riedizione (un controllino, no?): a San Francisco, tra 1965 e 1968, c’era il Fillmore, non il Fillmore East, che stava a New York, peraltro tra 1968 e 1971 (p. 19); le New York Dolls non erano una band di rock “pesante”, perché l’espressione è sinonima di “hard rock” e si attaglia, all’epoca, a band come Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, Grand Funk Railroad (p. 27); inoltre la sua eredità non sarebbe stata raccolta dal glam, perché il glam era vivo e di moda già prima di loro (che anzi annoverano tra gli ispiratori proprio il padre del glam, Marc Bolan); quando Lennon e Ono si conoscono alla galleria Indica di Londra nel 1966, non iniziano subito a fare sesso, perché passa quasi un anno prima che si rivedano (p. 50); BLACK AND BLUE degli Stones non esce nel 1972, ma nel 1975 (p. 57); Stevie Nicks, delle quale sono indicate le relazioni amorose in ordine errato, non ebbe mai una relazione con Tom Petty (p. 80); il padre adottivo di Gram Parsons non morì prima, ma dopo di lui (p. 87); il primo disco di Frank Zappa è FREAK OUT e non FREAKING OUT (p. 123).
Inoltre si poteva aggiornare il testo dato che Charles Manson, vivo nel 2003, nel frattempo è morto (2017) e brucia all’Inferno (p. 118). Sette inesattezze su oltre 300 pagine sono poche, certo, ma dispiacciono perché facilmente eliminabili. Certamente non intaccano il giudizio positivo sull’opera. Infine, la parte dedicata ad alcune delle più famose groupies, con la narrazione sintetica delle loro vite, nelle quali è messo in luce anche i ruolo che hanno avuto nell’ispirare gli artisti cui si sono accompagnate. Si tratta di Christine Boris, Bebe Buell, Pamela Des Barres, Jenny Fabian, Marianne Faithfull, The Gto’s, Connie Hamzy, Marsha Hunt, Pennie Lane, Lori Maddox, Nico, Anita Pallenberg, Cynthia Plaster Caster, Savannah, Sable Starr, Cherry Vanilla, Devon Wilson, Paula Yates, Sally Mann, Catherine James e Anna. Come si vede, è un gruppo composito: per diverse di loro il termine “groupie” è decisamente riduttivo. Faccio decisamente fatica a considerare come tali, infatti, Marianne Faithfull, Anita Pallenberg e Nico, artiste a tutto tondo motu proprio, così come Jane Asher, Linda Eastman e Yoko Ono, di cui si parla estesamente alle pagine 47-52 (Asher e Pallenberg furono attrici di successo e Eastman, prima di entrare nei Wings, fu grande fotografa rock).
C’è inoltre un altro lotto di ragazze che stanno a metà tra l’artista a tutto tondo che si è accompagnata a una rockstar e la cacciatrice di prede maschili: Marsha Hunt e Cherry Vanilla hanno avuto esperienze e carriere artistiche in proprio, anche se non di primissimo livello. Il concetto di groupie è quindi da intendersi per Tomasino in senso lato, ma collide un po’ con quanto lei stessa afferma: Alla consueta domanda che questo libro vuol porre nella testa del lettore, cosa sia davvero una groupie, lascio che a rispondere sia sempre quel delizioso film [“Almost Famous”], che ha saputo incorniciare un’epoca e i suoi protagonisti con una grazia e limpidezza fuori dal comune. «[Le ragazze di oggi] Non hanno idea di cosa significhi essere una vera fan», afferma sconsolata Fairuza Balk nei panni di una groupie, Sapphire, giunta al “tramonto” del rock, «amare con tutta te stessa una stupida canzone, o un’intera band, così tanto… che fa male»”. Non il caso di Asher, Eastman, Faithfull, Nico, Pallenberg, Ono. E forse nemmeno di Vanilla e Hunt. Detto questo, libro consigliatissimo.
Articolo del
17/07/2019 -
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