È difficile valutare questa biografia di Brian May, la prima italiana, la seconda al mondo, se non erro, dopo quella di Laura Jackson del 2008 (unico volume non tradotto in italiano citato nella bibliografia). Da un lato è opera assolutamente meritoria: 300 pagine fitte fitte seguono passo passo la biografia del chitarrista dei Queen, riuscendo nell’impresa quasi impossibile di separarne le vicende da quelle della band principale, che, nonostante i forti contrasti interni, è sempre apparsa come un tutt’uno monolitico, biograficamente parlando (anche il biopic “Bohemian Rhapsody”, incentrato sul cantante Freddie Mercury, sostanzialmente racconta la storia della band). Di ogni album sono messe in rilievo le composizioni a firma May, tralasciando le altre, spiegandone genesi, composizione, caratteristiche. E il tutto è condito con un’abbondanza di dichiarazioni del chitarrista davvero cornucopica.
Un lavoro certosino e faticosissimo, che non solo posso immaginare benissimo per quelle quattro carabattole che ho scritto anch’io, ma comunicato anche da Luca Garrò nei ringraziamenti, quando riconosce la lealtà e l’amicizia della Tsunami edizioni “per la pazienza e per aver creduto in questo libro quando ormai nemmeno io ci credevo più” e quando ricorda “anni di paranoie, letture fino a notte fonda, video e musica senza vie di fuga”. Di fronte a tutto questo faccio tanto di cappello. Onore al merito e alla costanza.
E però sarei davvero scorretto nei confronti dei lettori se non evidenziassi anche la pecca fondamentale del volume: ci restituisce il personaggio pubblico May, non l’uomo e nemmeno la rockstar. Il ricorrere continuo alle dichiarazioni del chitarrista, prese da interviste, dai suoi libri (ne ha pubblicati quattro, contando quelli di astronomia), dai suoi post sui social, se da un lato è un pregio enorme perché riunisce in un unico volume il punto di vista di May, dall’altro è un limite perché ognuno di noi, quando fa una dichiarazione in pubblico, cerca, magari anche inconsciamente, di apparire al meglio. Una parte della verità umana si offusca. Quando parliamo a un pubblico non siamo la persona reale, siamo un personaggio pubblico. Ecco perché questa biografia risulta piatta, perlomeno a un lettore come me, che non è un fan dei Queen, pur apprezzandone diversi lavori (certi anche molto molto molto). Manca la vita. Sarò franco: in certi punti mi sono annoiato e ho fatto fatica a proseguire la lettura, il che è incredibile se pensiamo che si parla di uno dei Queen, una delle band più scatenate nel rock’n’roll lifestyle. E anche se May ne è stato il membro gentile e tranquillo (forse battuto da John Deacon), credo che rovistare negli aneddoti della vita al limite della band ne avrebbe fatto emergere con più forza e vita il carattere. La famigerata festa di New Orleans del 1978, ad esempio: May vi partecipò, ovviamente, si divertì e straviziò. A una certa ora però uscì dalla festa, insieme agli altri, per un giro nel quartiere francese: Mercury cercava i trans; May una vecchia fiamma. Un piccolo aneddoto che dice tutto, a mio avviso. Perché tralasciarlo? Forse perché May all’epoca era sposato da appena due anni con Christine Mullen?
Ecco, mi viene da pensare che il fatto di essere un fan dei Queen e di avere una certa frequentazione con lui (fu nel 2011 a Bath, nel backstage del tour con Kerry Ellis, che Garrò gli disse: “Non credi sia giunto il momento di raccontare la tua storia?”) abbia indotto l’autore a proteggere, in un certo senso, May.
Eppure, nonostante questi rilievi, questa biografia non è immeritevole, anzi ha il grandissimo pregio di fornire una valanga di materiali non solo agli addetti ai lavori, ma anche ai fans dei Queen, ai quali consiglio caldamente l’acquisto di un volume che giunge fino al 2023. Promosso.
Articolo del
31/08/2023 -
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