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Una serata primaverile, il tempo è incerto, ma perché rimanere a casa quando a pochi chilometri suona uno dei gruppi migliori di Roma e un gruppo garage che proviene direttamente da Washington?
Eccoci all’Init. Ecco che stanno per suonare. Cominciano loro, i Dolcevena, sempre diversi e sempre più bravi. Portano sul palco la loro carica rock “e non solo”, intrisa di contaminazioni che si aggirano tra il grunge e il punk, con una voce stridula e acida che incornicia i brani del loro ultimo lavoro The Looking Glass Self che sapientemente propongono dal palco con gran verve e una velata timidezza, come se si vergognassero della loro sapienza. Sono dolci, violenti, potenti, sanno dosare le emozioni senza strafare tra suoni puliti e distorsioni che arrivano come frustate sotto il palco, amalgamandosi in un complesso di melodie malinconiche e suggestive che impastano l’aria e gravitano sulle teste dei presenti come una nebbia. Salutano dedicando l’ultimo pezzo, un’onirica ballad, ai The Pharmacy, che hanno seguito il loro concerto muovendo la testa a tempo e confabulando tra di loro.
Loro, i prossimi, quelli che confabulano, sono un trio americano, formatosi nel 2004, che sta portando in giro per l’Europa e l’America il suo ultimo album “Weekend”, registrato a New Orleans e pubblicato da Seayou Record e Bachelor. Sono un gruppo garage e con influenze tra il surf e il beat. Una chitarra un po’ usurata, una batteria essenziale e una tastiera piena di adesivi, insieme a t-shirt, Converse e pantaloni attillati e strappati, costituiscono l’immaginario di questi tre tipi che propongono pezzi allegri e movimentati con coretti e atmosfere da spiaggia che creano una briosa e calda atmosfera in sala. Sono gentili e orecchiabili col loro stile sixties che li vede ondeggiare da pezzi rock ‘n roll e distorti, a melodici lenti che richiamano le atmosfere dei balli delle High School di quarant’anni fa, con quel pizzico di psichedelia preso in prestito da gruppi del momento come MGMT e derivati, che tra suoni di organetti e tamburelli hanno portato alla rivalutazione di un genere di cui da qualche anno forse si parla un po’ troppo. Eseguono una decina di pezzi che risultano lo-fi anche ascoltandoli dal vivo, tutti presi da “Weekend”. Fanno ballare i presenti mentre loro si destreggiano bene sul palco, senza dare molta confidenza ai presenti. Sono carini nonostante il look trasandato e lasciano il palco salutando e senza concedere il bis, mentre un avventore arabo un po’ brillo si impossessa del microfono e dice qualcosa nella sua lingua originale che nessuno capisce. Ma a loro non importa, anzi sembrano piuttosto divertiti. Del resto, si può avere una chiosa più punk?
Articolo del
18/04/2010 -
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