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Per chi, come me, ha sempre amato la musica elettronica, l’appuntamento è di quelli importanti. Dopo quasi 30 anni, ecco, finalmente, la possibilità di vederli dal vivo e in Italia, dopo la reunion del gruppo, deciso alla fine del 2008. Peraltro, la data in Italia è la prima di un tour (il ”Return to Eden 2”) che li porterà in giro nel Vecchio continente per qualche mese, dopo una serie di fortunati concerti in Gran Bretagna. Ore 21, 15; dopo qualche minuto di attesa e ripetute “chiamate” da parte del pubblico, ecco che compaiono sul palco, nella formazione che li aveva resi famosi negli anni ’80 (Midge Ure, Billy Currie, Chris Cross e (Warren Cann). L’aspetto, ovviamente, è cambiato; Midge Ure con maglietta a collo alto nera, giacca (che non toglierà mai per tutto il concerto!) e occhiali è così diverso da come ce lo ricordavamo, così come gli altri, con immagine così lontana dalla “divisa” patinata delle copertine dei dischi di 30 anni fa. Midge Ure accenna i primi accordi di chitarra per introdurre la canzone scelta per l’inizio, un’accattivante New Europeans, uno dei loro pezzi di punta che fa capire ai tanti fans presenti (il locale è pieno!) che ci sono e “sono ancora loro!”. Dopo il primo, meritato applauso ecco una prima serie di brani che hanno fatto la storia del loro repertorio new wave (”Passing Strangers”, “Gigolo and Gigolette”, “Mr. X”, strumentale, e ”Visions in Blue”), con Midge Ure che in quest’ultima evita, gli infidi acuti della parte finale, segno che la voce, forse, pur restando graffiante e trascinante, non può raggiungere le vette di una volta. Dopo una magistrale ”The Thin Wal”l, in cui Billy Currie mostra tutte le sue doti di violinista, oltre che di impareggiabile e trascinante (con la sua simpatia) tastierista, ecco ”It's Been a Long Long Long Time Comin”, molto trascinante nelle sue atmosfere rock, merito indubbio della batteria di Warren Cann che va alla grande. Segue il secondo pezzo strumentale della serata, ”Astradyne”, con gli archi sintetici di Billy Currie che si confondono splendidamente nel blu, rosso e viola delle scenografie del palco. Ancora, ”Rage in Eden” e ”Lament”, con quest’ultima che costituisce forse l’unica nota meno lieta della serata, con il suono di assolo che è, purtroppo, lontano parente di quello che all’epoca segnò il successo di uno dei migliori pezzi, probabilmente uno fra i più intimi e intimisti della band post-punk; nel complesso, dal vivo è una canzone che manca clamorosamente di bassi. Ma la perplessità da la sua definizione di attimo, perché subito dopo parte ”Hymn”, molto marcata nello splendido mix tra chitarra e synth che si inseguono nel catturare la passione del pubblico, che nel frattempo si è reso conto che, nonostante tutto, il tempo non ha minimante scalfito la carica e la grinta della band. E da qui inizia il crescendo, con un trittico-mozzafiato: ”One Small Day”, degna delle migliori versioni di musica rock, ”Standing Still, che segna il ritorno al loro repertorio “classico” e ”White China”, che esalta al meglio il basso profondo e intenso (che ritroviamo in molti altri pezzi eseguiti stasera), il riff di chitarra che accompagna la strofa e il solo di synth, protagonista dell’inciso. L’entusiasmo del pubblico è alle stelle e come un colpo al cuore ecco che arrivano le atmosfere mittel-europee di ”Vienna”, che sprigiona tutta la sua anima new romantic nelle note di violino e pianoforte di Billy Currie. A seguire ”Reap the Wild Wind”, semplicemente unica, tanto che verrebbe davvero voglia di seguirlo quel vento fatto di note, assolo e archi sintetici; a chiudere ”Dancing With Tears in My Eyes”, forse più rock e più cupa di come ce la ricordavamo, ma che certo non perde il suo appeal, con Midge Ure che con la voce raggiunge, seppure a fatica, le sue note migliori. Il gruppo saluta e se ne va, dando al pubblico giusto il tempo di riposarsi e di apprezzare il sound “minimalista” ma pieno della band (finalmente in un concerto ho sentito le note del basso, che non si sono perse nel solito “pastone” delle migliaia di watt), che ha ricostruito spesso al meglio (tranne qualche rara eccezione) tutti i suoni che hanno resi celebri e così ricercati i loro dischi. Ma ecco che rientrano per il bis; l’assolo di archi introduce la grintosa ”Love’s Great Adventure”, “Sleepwalk”, sintesi dello splendido “ritorno al futuro” dato dal mix tra synth perfettamente oliati e rodati assolo di chitarra che tagliano la scena facendosi largo tra i bassi che tengono alto il ritmo, e ”The Voice”, nella “storica” versione live, con lo splendido finale che, attraverso il tempo “fermamente segnato” da Warren Cann, è caratterizzato da una “corsa esplosiva” di suoni di batteria (suonata anche da Chris Cross, Midge Ure e Billy Currie, che si fa largo tra violini e tastiere per raggiungere i suoi compagni davanti al pubblico). La canzone è la sincera e felice conclusione di un concerto sospeso in un mix di musica elettronica e rock. E a questo punto gli Ultravox salutano davvero il pubblico, rimandando (speriamo) a prossime occasioni… peccato, davvero, perché saremmo stati ancora volentieri ad ascoltarli, per rivivere insieme un pezzo di storia della new wave.
Articolo del
19/04/2010 -
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