|
Erano passati due anni dall’ultimo incontro con Tuck And Patti qui a Roma. Rivederli a distanza di tempo genera qualche paura legata ai danni che l’impietoso scorrere degli anni può creare su noi comuni mortali. Ma tutti i timori vengono fugati in un attimo dalle prime note di questo duo delle meraviglie.
Grazie ai posti in prima fila, concessi dal buon Massimo Pasquini, stasera assistiamo ad uno show carico di emozioni, vibrante come la Gibson L5 che, nelle sapienti mani di Tuck, non sembra conoscere limiti. Sala piena e pubblico in silenzio per l’ingresso di Patti che mai lascia le mani del suo consorte fino al centro del palco. Lei, in nero, è generosa nelle forme, lui capelli lunghi bianchi, sempre sorridente ma concentratissimo, un abito nero e la sua insostituibile seconda compagna nella vita, fatta di sei corde magiche. L’affiatamento raggiunto da questa coppia artistica, e nella vita, non sembra temere nulla. Più di trent’anni insieme li hanno resi immuni allo scorrere del tempo, incapace di scalfire la loro bravura tecnica, lasciando intatta la capacità di suscitare emozioni che sconvolgono i sensi. I brani eseguiti sono perfetti, la capacità di catalizzare l’attenzione del pubblico è tale da lasciare stupiti. I minuti scorrono lenti in un distillato di classici che vanno da Summertime, introdotta dal lungo omaggio all’estate in arrivo, a Up And At It, brano di Wes Montgomery dalla difficoltà spaventosa durante il quale Tuck si galvanizza suonandolo senza una sbavatura. Gli altri che lo vedono come solista sono dedicati in una rivisitazione, in chiave jazz, di Santana e della sua Europa. Il pubblico è caldo e segue ogni nuovo cambio ritmico con mani e piedi, mentre Patti non sembra credere alle sue orecchie, chiede conferma agli occhi mentre scruta i presenti e li ringrazia almeno cento volte durante lo show. Ma il picco della serata è la presentazione del medley Castle Made Of Sand/ Little Wing dove l’omaggio all’Hendrix uomo, e grande crooner di emozioni, strappa un applauso ancor prima che le veloci dita di Tuck partano per accordi ricchi di pathos distendendosi su scale imprendibili. Patti dal canto suo è visibilmente emozionata durante Little Wing, i suoi vocalizzi rilasciano un’energia emozionale che si aggrappa alle viscere dei presenti, ammutoliti da un’accecante delicatezza. Irresistibile lo swing/jazz di Better Than Anything con gli imprendibili saliscendi vocali della singer che stasera sembra davvero ispirata. Poi arriva il momento delle ballate, My Romance e Take My Breath Away cullano l’intero Auditorium con note ricche di colori cangianti, di armoniche pizzicate e una prestazione vocale che tocca un lirismo altissimo.
La prima parte dello show si chiude sulle note dell’eterea Time After Time, la sala si trasforma in una chiesa che accoglie un coro gospel che vede protagonista il pubblico, diviso in tre parti, mentre canta sotto la direzione di Patti. In sottofondo le note di Tuck colmano quegli spazi vuoti, andandosi a insinuare nelle fessure più nascoste del cuore. Gli encore, doverosi, volano sulle ali di As Time Goes By e Dream in cui Patti si libera delle cuffie e stacca la spina del microfono per tornare ad una dimensione più intima, in cui ci intima (passatemi il gioco di parole) di prenderci cura gli uni degli altri, staccando la spina della realtà e riprenderci il tempo per continuare a sognare, perché dentro di noi c’è ancora un bambino di cui non aver paura.
Thank you Tuck And Patti, you take our breath away!
(La foto di Tuck in concerto a Roma è di Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello)
Articolo del
24/04/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|