|
Riuscite ad immaginare di trovarvi a bordo di un treno che corre a folle velocità con 3 kamikaze fuori di testa armati di lanciafiamme e che oltretutto il treno stia anche deragliando? Se ci riuscite... significa che siete stati ad un concerto dei Prodigy!
L'Atlantico di Roma era già sold out da mesi, si respira l'atmosfera delle grandi occasioni anche perchè, come accade per tutte le band di valore assoluto, pure i Prodigy dall'uscita di Invaders Must Die stanno beneficiando di un infoltimento consistente tra le schiere di fan, tanti giovani scoppiati che si vanno a sommare a quelli della vecchia guardia della “jilted generation” degli anni 90. Prima dell'entrata in scena degli “electronic punx” si sono avvicendati sul palco Andrea Mariano, tastierista dei Negramaro, nelle vesti di dj per l'occasione, con un dj-set che si presta perfettamente al contesto, fatto principalmente di omaggi ai grandi della scena elettronica e techno dagli Anni 90 ad oggi. L'esibizione di Andro è qualitativamente buona e tutto sommato sobria, cosa che non si può certo dire dei successivi South Central che già dal look, “vagamente” emo, non si accattivano le simpatie del pubblico, ma il peggio deve ancora arrivare, infatti riescono a causare ben due blackout con conseguente sospensione del concerto e che visto il loro approccio al palco quantomai aggressivo li fa coprire di ridicolo. Dopo il secondo blackout uno dei due pensa bene di fracassare la sua tastiera, che a quanto pare era la principale indiziata per il sovraccarico di energia, dopo aver sostituito lo strumento finalmente si riparte, il danno di immagine ormai è fatto, ma tutto sommato prima di lasciare il palco si riprendono con un paio di pezzi in pieno stile big beat che fanno saltare i presenti.
Dopo un'attesa abbastanza lunga, probabilmente atta a scongiurare un altro caso di blackout, il pubblico è decisamente caldo e cosparso di benzina, pronto a divenire incendiario di lì a poco, ovvero quando i Prodigy fanno il loro ingresso sul palco dando il via alle danze con Worlds On Fire nel delirio più assoluto. Il primo pezzo rispecchia a pieno la filosofia dell'ultimo album, una sorta di apoteosi autocitazionistica a quello che i Prodigy hanno rappresentato nell'elettronica dal 1990 al 2010, attraverso i vari stili intrapresi e le fusioni di generi che si sono alternate e aggiunte le une alle altre nel corso degli anni, senza mai tradire il marchio di fabbrica originale. Breathe è il primo salto indietro agli anni d'oro della consacrazione, i due... “aizzatori” Maxim Reality con il suo incedere minaccioso e lo psicopatico Keith Flint saltano, ballano e duettano con i loro microfoni fosforescenti. Non c'è un attimo di pausa e con Omen si capisce il perchè degli avvisi all'entrata che mettevano in guardia sul potenziale rischio di attacchi epilettici causati dalle luci, molte rock band amano suonare con alle spalle un muro di amplificatori, i Prodigy no... Dietro di loro c'è un fottio di accecatori, laser e luci stroboscopiche che rendono ancora più palpabile l'atmosfera di caos generale. La frazione dub della scaletta, scandita dai pezzi Poison (da Music For The Jilted Generation, 1994) e Thunder (dub version) è il preludio ad un tour de force che mette a dura prova la resistenza degli invasati nelle prime 30 file, personalmente ho visto gente a fine concerto con chiari segni di manate sporche di sangue sulle magliette e non sono stato sorpreso neanche un po'. “Where are my warriors? I wanna see my roman warriors...” è l'invocazione di Maxim per fomentare i presenti prima dell'agitatissima Warriors Dance (gli piace vincere facile...) i pezzi seguenti sono una sequenza letale, Firestarter (il più famoso del trio dell'Essex), Run With The Wolves (il più “violento” del nuovo album) e Voodoo People, altra pietra miliare della produzione marchiata con la formica.
Dopo Voodoo i due frontman escono e lasciano le luci della ribalta al più prodigio di tutti, Liam Howlett, il “direttore d'orchestra” che nascosto dietro ad un arsenale di synth, tastiere, mixer e laptop quasi non si vede... ma si sente. Omen Reprise è tutta sua, così come l'intro che spiana la strada alla title track dell'ultimo lavoro, Invaders Must Die, uscito lo scorso anno e che dopo il mezzo passo falso di Always Outnumbered Never Outgunned ha riconfermato la band in tutta la sua violenza musicale. La chiusura è targata Fat Of The Land (1997) con Diesel Power e l'incredibile Smack My Bitch Up, arricchita da un'efficace trovata scenografica adottata nel tour in corso nella quale, al momento del campionamento vocale che funge da interludio prima della botta finale, Maxim invita il pubblico ad abbassarsi piegandosi sulle ginocchia fino al momento in cui il beat esplode nuovamente e nel quale tutti saltano in piedi e si scatenano fino alla fine.
Dopo una breve pausa la band si ripresenta per i bis, addirittura quattro in questo caso, il primo è un altro pezzo simbolo del nuovo corso, Take Me To The Hospital, che dà il nome anche all'etichetta discografica affiliata ai Prodigy, ma il vero trionfo avviene con il brano successivo ovvero Out Of Space, tratto dall'album di esordio Experience (1992) e che mischia le caratteristiche sonorità rave dei primi Anni 90 con i sample della hip hop Critical Beatdown degli Ultramagnetic Mcs e reggae di I Chase The Devil di Max Romeo. Il penultimo brano eseguito è Spitfire, che poi era quello unanimemente considerato il più convincente dal sopracitato penultimo lavoro datato 2004 (Always Outnumbered Never Outgunned), quindi il gran finale con Their Law nella quale, con l'ausilio della chitarra di Rob Holliday, si esaltano le fusioni con il rock e che si apre con le parole ormai promosse a vero e proprio inno “What we're dealing with here is a total lack of respect for the law”, e tutto il resto non è noia, ma storia.
(La foto, di Nicholas Matteucci, ritrae l'Autore del live report in compagnia di Keith Flint)
Articolo del
01/05/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|