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E’ una serata mite, di quelle in cui si sta con piacere all’aperto. C’è parecchia gente riversata nello spazio circostante l’Init Club. Gente curiosa e ansiosa di ascoltare loro, i Massimo Volume, uno dei gruppi il cui ascolto credo che sia capace di cambiare la vita, non solo musicalmente parlando, dato che sono in grado di offrire una lettura della realtà così originale e suggestiva, analizzandola in maniera poetica e cruda, incantando e scuotendo, offrendo istantanee di vita vissuta in tutta la sua violenza e bellezza, che è difficile rimanere gli stessi dopo una simile esperienza.
Una premessa necessaria per spiegare il calibro artistico di chi suona stasera sul palco di un Init Club affollato ma non abbastanza, dato il valore di questo gruppo, che forse è rimasto in una nicchia un po’ troppo nascosta della scena musicale italiana. La formazione è sempre quella con Emidio Clementi al basso, Egle Sommacal alla chitarra, Vittoria Burattini alla batteria e il (relativamente) nuovo chitarrista Stefano Pilla, che dal 2008 segue la band. Brevi saluti e il concerto comincia inserendo Tutto scorre lungo i bordi tra i primi brani in scaletta e passando in rassegna alcuni pezzi da Lungo i bordi del ’95 e da Da qui del ’97. Sono solenni e poetici, noise e disperati mentre suonano pezzi come Il primo Dio, Da qui, Senza un posto dove dormire, scaldando l’atmosfera a forza di voraci ed ipnotici giri di chitarra e basso che si ripetono ossessivi, esprimendo al meglio quei sentimenti di esasperazione e tormento che da sempre caratterizzano questo gruppo. Ricercano connubio tra suono e rumore in modo sofisticato ora suonando le chitarre con stecche di violino, ora raschiandole con il plettro, ora trattandole come delle tastiere. Proseguono con Per farcela e Inverno ’85, mentre Stefano Pilla si esalta e si muove convulsamente per tutto il palco. Clementi rimane concentrato, sobrio, mentre avanzano verso le accattivanti canzoni di Stanze (1993), il disco più bello della loro carriera. Ecco che prendono vita pezzi come Stanze, Insetti, In nome di Dio che si succedono “senza sosta” veloci e fulminee, per poi dilatare la tensione con l’inebriante e aerea Stanze vuote, seguita da 15 di Agosto e Fuochi fatui.
Pausa. I nostri riprendono dalla sognante Vedute dallo spazio che, fedeli al disco, eseguono legandola alla stupenda Ororo che chiude un concerto intenso, emotivo, passionale. Loro se ne vanno incuranti, senza troppo concedersi, a parte Vittoria che saluta baciando il pubblico e il chitarrista scalmanato che si allontana sudato. Sono composti e perfetti, hanno suonato bene, hanno elargito pezzi di vita e risvegliando sensazioni profonde. Confermo: è davvero difficile sentirsi gli stessi dopo tanta bellezza.
Articolo del
08/05/2010 -
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