|
Mentre il tempo continua a cambiare imprevedibilmente nella cittadina romana invece permangono alcune certezze: la prima è che mentre buona parte del pubblico “cool” ieri stasera è impegnata con i Toys Orchestra, l’altra, “alternative”, partecipa al compleanno del Fiumani. La rimanente percentuale di “losers” d’elite invece assiste ad una delle esibizioni più intense del momento.
Stiamo parlando dei Dead Meadow, band di Washington DC cresciuta a pane e seventies, maturata in modo esponenziale ad ogni loro uscita. Avvistati già due anni fa al Sinister Noise, in compagnia dei Black Rainbows, i Dead Meadow sfoggiano un’amplificazione vintage da brividi. Pedaliera, degna del buon Hendrix, con distorsore, delay e cry-baby, amplificazione Orange e batteria classica sono il corredo bellico di questo power-trio. Dopo pochi minuti eccoli salire sul palco con Ain’t Got Nothing To Go Wrong che pettina i presenti a colpi di wah-wah taglienti. I brani scelti vanno dal primo disco, Sleepy Silver Dog, a Everything’s Going On mutuata, nel giro di basso, da Black To Comm dei MITICI Mc5. L’ariete usato per sfondare le orecchie del pubblico consiste in quelle lunghe, e letargiche, digressioni psichedeliche che d’un botto si trasformano in cavalcate a perdifiato. I ragazzi sanno come maneggiare il magma sonoro eruttato dagli amplificatori, lo veicolano gradualmente verso i loro interlocutori che ondeggiano in sintonia con le accelerazioni del massiccio batterista che appare in forma smagliante. Il lavoro più oscuro viene fatto dal bassista Steve Kille(r), instancabile motore fantasioso e potente, affiancato da un impagabile Simmons, rapito da suoi demoni psichedelici. La sua voce appare e riappare dai monitor finché si fonde definitivamente con l’intero sound. I pattern ritmici di Mcarthy ricordano un giovane Bonham, agilità, strutture massicce e controtempi aumentano il fascino di questa band che, quando sceglie la velocità, esplode riff con la stessa violenza di una deflagrazione all’idrogeno. Between The Ground And Me e At Her Open Door ripiegano sulle melodie più morbide del penultimo Old Growth, altro grande album in studio. Whirlings e Good Moanin’ sono la trasposizione sonora di quei “campi morti” da cui la band sembra provenire. Una valanga di wah-wah acidi e delay e luci cangianti fanno da salto temporale che ci riporta tutti indietro di quarant’anni per una versione terrificante di i>Untitled. Una suite di questa intensità basta a spazzare via l’ottanta per cento delle produzioni patinate di questi nuovi sedicenti rocker, affetti da mediocrità incurabile. La sua sezione centrale è puro distillato di Grateful Dead / Hawkwind per uno psych/space/rock che risveglia le coscienze mentre ovatta i sensi. La band dimostra classe ed eleganza, mentre il batterista sembra un leone indomabile. L’attacco di Till Kingdome Come non lascia spazio a dubbi, stasera è Mcarthy a guidare il tutto, con maestria e forza dirompente.
600 kilometri e 6 ore di treno sono stati ripagati da un concerto micidiale. Temibili Dead Meadow!
Articolo del
13/05/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|