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Nonostante il tempo di merda, e la presenza dell’inossidabile Mark Lanegan a pochi kilometri di distanza, anche quest’anno lo Stoned Hand Of Doom ha retto bene all’urto, vantando uno zoccolo duro di aficionados che hanno riempito la sala del Jailbreak, nuova location scelta per la sesta edizione.
Come era lecito aspettarsi il locale è colmo di metallari e facce note fra gli addetti ai lavori. Il nero prevale su tutto, poi catene, borchie e tatuaggi che si arrampicano sino al viso di alcuni presenti. Arrivo direttamente quando il terzo gruppo previsto sul cartellone, i Grayceon, stanno per iniziare. La loro esibizione è massacrante, dopo all’ultima canzone ne esco stordito, anche se positivamente colpito, la band suona con un livello di distorsione, e un volume tali, da farmi ringraziare il dio del metal che sia finita cosi presto. Stordenti!
Dopo il solito cambio palco, mentre prendo confidenza con qualche boccale di rossa, arrivano i Juicifer, duo veramente indemoniato, fatto di voce/chitarra e batteria capaci di innalzare la muraglia cinese del metal. Lei si contorce e urla, violenta la chitarra, si piega e riparte su un tappeto ritmico che, se usato come metodo di tortura contro i nemici, farebbe crollare chiunque nel giro di pochi minuti. Massacranti!
Altro cambio per gli headliner pronti a rovesciare addosso al pubblico sessanta minuti di puro oro nero, fatto di onde sonore psichedeliche, graffianti e compatte come un monolite bastardo venuto, da chissà dove, per romperci il culo. Gli Ufomammut si riconfermano una cazzutissima band d’altra grana. Il nuovo Eve, sebbene più fruibile, dal vivo è una mazzata fra capo e collo, di quelli che, se non ti ammazza, ti lascia tetraplegico a vita. Urlo, Vita e Poia sono li pronti ad allungare le parti psichedeliche fino alle inevitabili esplosioni che ormai caratterizza i loro lavori. L’ultimo quarto d’ora, di gloria, è dedicato al passato durante il quale la band ci ricorda che il mostro galattico è ancor qui fra noi, pronto a colpire duro e senza pietà. Temibili!
Il secondo round parte alle 17 di sabato e prevede otto gruppi. Al mio arrivo i Mydriasi, moniker riferito allo stato di dilatazione della pupilla nelle allucinazioni stanno per dare fuoco alle polveri. Presenti per la sesta volta sul palco del S.H.O.D. i ragazzi si riconfermano come una stabile certezza. Rocco continua a stupire con la sua grande presenza scenica. Non suona il basso, lo usa come un M60, per spazzare via ogni dubbio. Forti dell’ultimo Corridors sul palco non hanno rivali per intensità. Il suono è tagliente, la distorsione pesante e Rocco sembra la nostra versione italiana di Henry Rollins, incontenibile. La batteria pesta a dovere i nostri timpani mentre la chitarra taglia via lembi di pelle ad ogni colpo di plettro. Immancabile l’invito sul palco, per una doppietta, ai Doomraiser, un duello di chitarre che stridono e urla belluine mettono fine al loro set. Imperdibili!
I The Black invece stentano a decollare, il loro sound è grezzo e vanta varie citazioni di grandi, ma manca qualcosa, quel collante che renda il tutto più fluido dal vivo. Sfuocati!
E sempre a proposito di fluido invece gli Stoner Kebab salgono sul palco tirando fuori anche una versione strafatta, e quasi irriconoscibile, di Astronomy Domine in italiano. Meritano il mio elogio solo per queste due scelte estreme. Al di la della cover la band sfoggia un ottimo suono, compattezza e idee ben precise su come fiaccare la volontà dei presenti. Allucina(n)ti!
Durante il cambio palco assisto a delle scene che, ne sono sempre più convinto, solo a Roma possono accadere. La prima vede protagonista un ragazzo che si avvicina agli Electric Wizard, impegnati a cenare, e gli fa “Ahò, chi sta a sonà?”. Nella seconda uno cerca disperatamente di abbordare la cassiera che, fra un’ordinazione di patatine con ketchup e una birra rossa, si sente chiedere: “Ti piace la musica metal?”, il tutto mentre la gente aspetta per fare le ordinazioni. Entrambe da incorniciare come eventi (imperdibili).
Intanto i Doomraiser salgono sul palco pronti al massacro. E si signori e signore del metal, i Doomraiser creano un poltergeist sonoro, un’onda d’urto degna dei grandi, fatta da grandi. Le chitarre ruggiscono, la voce, ruvida, regge alla grande e il basso di B.J. è un rantolo distorto. Il salto di qualità è notevole e, per una volta l’acustica, fa la sua parte risputando fuori un sound da urlo, contrastato dal boato dei presenti che rispondono ad ogni imbeccata lanciata da Andrea. Si canta e si poga, headbanging necessario e qualcuno vola sulle braccia del pubblico, mentre i nostri sono impegnati in una cavalcata a perdifiato. Grandissimi!
I Toner Low sono una band atipica, suonano doom molto rallentato, fangoso e psichedelico, la loro esibizione smorza i toni in velocità, ma la qualità rimane altissima. È musica pregna di un suono massiccio e slabbrato, con aperture di una potenza mostruosa. Alta dose di classe e capacità di maneggiare la materia doom li rendono dei gran maestri che corrono su un terreno fatto di sabbia impastata a cemento a presa rapida. Una volta asciutto è quasi impossibile liberarsene. Magnetici!
Mentre mi aggiro fra il bancone delle birre e l’uscita incontro Dave dei White Hills, band vista nell’edizione precedente, che mi confessa di essere li per gli Electric Wizard. A quel punto ci piazziamo a destra del palco per vedere meglio gli headliner. Dopo il primo accordo capisci perché sono loro i maghi assoluti. È il sound dell’inferno, sono i Black Sabbath rallentati e nutriti di sostanze psicotrope. Il loro incedere è poderoso e non conosce ostacoli, le aperture delle chitarre ribassate esplodono nei soli che mandano in visibilio i presenti. Dave sorride e io non posso che ondeggiare al pari di quel suono caldo e corrosivo che avanza incurante dei danni provocati dal suo passaggio. Ddomsu-suite le potremmo definire per una band di fine grana. Monumentali!
Un grande evento, costola italiana del Roadburn Festival, per il quale dobbiamo ringraziare tutta l’organizzazione. Doom on!!
P.s. E’ difficile dare la notizia senza sembrare retorici o mediocri. La gioia per questo evento viene oscurata poche ore dopo, mentre scrivo questo report, dalla dipartita di RONNIE JAMES DIO, un uomo che ha avuto un’influenza non quantificabile per mole ed eleganza nel canto. Aveva militato in band come Elf, Rainbow, Black Sabbath, Dio e Heaven And Hell. James ci ha lasciati alle prime luci dell’alba di domenica, forse andato via sul suo tanto amato arcobaleno. Lo speriamo per lui. Addio e grazie piccolo grande uomo. Long live rock and roll!!
Articolo del
18/05/2010 -
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