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I Residents salgono sul palco, il teatro ancora non è in totale silenzio e buio, ma istantaneamente, al loro ingresso, le luci muoiono e le voci si spengono tutte in una.
Così inizia il viaggio. Un viaggio lungo quanto basta tra favole spaventose quanto reali, raccontate da un salotto in apparenza normale dove un caminetto arde, una tv in white noise si accende e si spegne, un divano crogiola in un angolo facendo le fusa tra cavi e amplificatori, computer e proiettori. Dialoghi con fantasmi e suoni dall'oltretomba iniziano all'attacco di Sleepwalkers e Talking Light. I Residents è chiaro che non stanno ricreando finzione, no, l'atmosfera da seduta spiritica è legata proprio ad uno stato metafisico della reale suspense generata dalla musica, una sospensione totale dei cervelli raccolti in sala, completamente stregati dalle voci, dalle chitarre e dai loop. Seguono Six More Miles e They Are The Meat fino a tornare, subito dopo He Also Served, alle storie di coloro che i Residents chiamano i Mirror People, i loro dialogatori dallo specchio, fantasmi che appaiono su schermi bianchi e che portano in scena le loro vicissitudini tanto ironiche quanto creepy. I Mirror People raccontano storie che fanno accapponare la pelle, storie reali che potrebbero essere accadute a ognuno di noi e che potrebbero sempre accaderci, momenti di sospensione che poi si riversano nella musica convulsa, che fredda le lacrime, fa piangere al cuore sangue rappreso, fa saltare le sinapsi. Sinapsi che saltano sicuramente all'attacco di Semolina con la sua storia, la sua musica e quel suo loop crudele che penetra fin dentro le ossa. È tutto ossa, fantasmi, sangue andato a male, pelli decomposte, sogni disturbati da incubi, memorie infrante, quello che i Residents portano sul palco con Talking Lights. La sala sprofondata nel sogno inizia a vagare con l'immaginazione, viene catturata dalla magia di questi tre esseri non del tutto umani, che nessuno ha mai visto; esseri non meglio identificati che trascinano i corpi, strisciano nelle menti e si insinuano sotto il sedile e le coperte epidermiche di ogni singolo spettatore. Al limite ultimo tra il teatro e il concerto, lo spettacolo va avanti e ci si sente circondati da esseri strani, vivi nella nostra mente, piccoli ragni fatti di sogni che si insinuano tra i nostri neuroni, le bocche si spalancano come a voler dire che non credono a quello che vedono gli occhi, né tanto meno a quello che sentono le orecchie. Un caldo tepore a volte ci avvolge al ricordo del ripetuto “dream...dream...dream...”, ossessionante, che fuoriesce dalla voce dell'uomo dalle orecchie enormi e dal cervello di chi l'ascolta.
Lo spettacolo volge al suo termine ultimo con Bury Me Not e Die Stay Go, due encore che di certo non rassicurano; non c'è salvezza con i Residents, non c'è espiazione o catarsi, ma rimane un verme piantato nella testa che scava e ricorda, fin quando, dopo un bel po' dalla fine dello spettacolo, le nostre menti si riprendono e escono dal sogno o dall'incubo, si scrollano di dosso quel liquido amniotico putrefatto che ci era cresciuto intorno. Menti felici di andare a dormire, menti gioiose dello spettacolo a cui hanno avuto l'onore di assistere in questa serata, menti che sanno che dentro l'armadio e dietro lo specchio ci sono veramente i Mirror People dei Residents e che siamo proprio noi, le nostri immagini, i nostri sogni, i nostri veri 'io', vecchi e bambini, bambini vecchi.
Articolo del
21/05/2010 -
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