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Spiral 69 è il nuovo progetto di Riccardo Sabetti, già Argine e Pixel. In questo nuovo album la composizione musicale si è addolcita, lasciando fuoriuscire sonorità che vanno dalla dark wave all’industrial con un pizzico di pop in stile Joy Division e The Cure. Il risultato è un sound più romantico e incisivo. L’ampio successo di A Filthy Lesson For Lovers ci ha incuriositi e per XTM! siamo andati ad incontrare Riccardo per saperne di più e capire dove risiede il seme della sua creatività.
Da dove nasce il nome Spiral 69? Perchè lo hai scelto?
Spiral 69 è il titolo di un film hard degli anni ’80, decisamente trash. Ero in un casolare con un paio di amici e stavamo registrando dei brani del disco, non faccio il nome degli amici perchè sono conosciuti e non si fa! Il televisore trasmetteva solamente questo canale pornografico e, quindi, tutte le sere, quando finivamo di suonare e registrare, ci ritrovavamo a bere litri di vino e accendavamo questa fantastica TV monocanale con spirito, ovviamente, goliardico. Ad un certo punto appare questo titolo roteante, che sembrava più il titolo di un film dell’orrore e, a quel punto, durante la visione, i commenti si sono sprecati. In automatico è diventato il nome del progetto a cui stavamo lavorando, il fatto di trovare un nome è come dare un genere a un tipo di musica, improvvisamente sai che quello che stai facendo ha quel nome.
"A Filthy Lesson For Lovers", qual’è la lezione che vuoi dare?
Non c’è una lezione da dare, la lezione è intrinseca in questi casi, è come tutte quelle persone che si ubriacano e si schiantano contro un palo, se ti ubriachi lo sai che potresti andare incontro a quel tipo di fine. Nel disco l’amore non è inteso come amore uomo-donna, ma ci sono vari tipi di amore: quello padre - figlio, l’amore per le persone in generale, la stessa Kissing Juda parla, ad esempio, dell’essere umano che si piega a tutto ciò che i potenti professano come ‘bene comune’, quando ti dicono ciò che devi essere: una persona sempre brava alla luce del sole; mentre poi, quando è tutto buio e nessuno ti vede, puoi fare quello che ti pare. E’ proprio una sorta di bacio di Giuda, il bacio della società che in realtà cerca solo di fregarti col suo egoismo.
Credi che non ci sia scampo al marciume di questa società? Delle relazioni false e basate sul nulla, delle istituzioni che tanto parlano e nulla fanno. Non c’è rimedio? Nemmeno nel vero amore?
Il problema è nell’essere umano, che si è talmente compromesso, tanto a livello etico quanto su qualsiasi altro fronte: religioso, lavorativo, amoroso. L’uomo oggi è un surrogato della purezza che poteva avere un tempo. E’ come quando i vecchi ci parlano del cibo che mangiavano loro e ci dicono che quello aveva il sapore di cibo, mentre ora non sa più di nulla. L’amore una volta era una cosa eterna, concreta, perchè veniva dato un senso a tutto, che ormai si è perso.
Il tuo album sta facendo il giro del mondo e dall’est arrivano voci di ‘suicide pop’. Che cosa è il ‘suicide pop’? Ti senti rientrare in questo genere?
Che cos’è il suicide pop? Ditemelo voi! Il gap è nato dal brano inciso con Spiritual Front, perchè i loro adepti (termine ideale per definirli) hanno incanalato gli Spiritual Front nel ‘suicide pop’, in quanto lo stesso Simone Salvatori si era autodefinito, ironicamente, suicide pop. Così questo neologismo ha visto la luce e con Fake Love siamo stati accumunati sotto questa egidia. Siamo sicuramente pop, anche se, secondo me, anche i Joy Division sono pop, perchè hanno una struttura pop, ma questo non li sminuisce.
La tua musica ha sonorità che vanno dal rock, all’industrial, alla wave, con una strizzatina d’occhio al pop. Come componi i tuoi brani?
Per anni ho lavorato con il progetto Pixel con una composizione molto industrial, con suggestioni di loop e di suoni presi e distorti fino all’inverosimile, veri strati sonori che si interlacciano, come in The Downward Spiral dei Nine Inch Nails, che, in questo senso, ha forgiato molti musicisti. Adesso mi sono dato a una composizione di base più cantautoriale, le musiche nascono al piano o alla chitarra, sono canzoni che puoi suonare intorno ad un falò. I miei pezzi non hanno più quell’accezione elettronica che ti impediva di farli essere entità a sè stanti come brani o di poterli suonare quando vuoi.
A cosa ti ispiri quando devi scrivere un testo di un tuo brano?
Spesso sono ricordi o semplicemente delle frasi che aprono dei quadri. E’ difficile spiegare come si compone una canzone, come fai ad esprimere che ce l’hai in testa a prescindere e nessuno te l’ha suggerita. Hai una melodia nella mente a cui accosti dei testi. per me il testo ha la stessa valenza di un giro di pianoforte o un bel riff di chitarra, la parola deve essere bella, deve suonare bene. Io tendo a parlare di me, è difficile che parlo di storie inventate, alcune cose vengono romanzate o estremizzate, altre nascono di getto, sono dei testi che vomiti come dei conati cerebrali, non hai un perchè, ma vengono fuori e, spesso, a distanza, li analizzi e scopri che parli di cose vere che parlano di te. Mi piace trovare il bel suono della parola ma comunque sono tutte cose vere, anche perhè il pubblico se ne accorge quando non sei spontaneo.
Trovi difficoltà ad aprirti una breccia nel mercato musicale italiano? Secondo te cos’è che non funziona e come si potrebbe migliorarlo?
Trovo difficoltà come tutti in questo momento. Bisogna anche dire che viviamo, parlando dell’Italia, in un paese dove deve fare tendenza qualcosa per essere apprezzato e, purtroppo, il tipo di musica che compongo non è prettamente di tendenza, per quanto possa essere di easy listening; ma non è così facile arrivare a tutti come possono aver fatto band come i Placebo. Rimani nelle nicchie, come Ashram, Spritual Front, che sono gruppi enormi e conosciuti nelle nicchie, ma è davvero difficile in Italia riuscire a trasformare la musica in un lavoro. Sai chi vive di questo? La gente che fa la dance, che sforna 200 canzoni al mese, oppure chi fa la musica pop italiana sanremese. E anche Sanremo è riuscito a perdere la dignità che già aveva perso, siamo dovuti passare per la De Filippi e X Factor.
Dove vorresti portare Spiral 69?
Mi piacerebbe semplicemente che Spiral 69 riuscisse ad arrivare fuori dall’Italia, dove già sta arrivando piano piano. Non esiste un pubblico preciso, spesso veniamo accostati, anche per scelte stilistiche, al pubblico new wave - dark, mi ci ritrovo ma non totalmente, più che altro per il mio passato negli Argine ma non per il mio presente. Quello dark è un pubblico che può sicuramente comprendere meglio il mio messaggio, ma Spiral 69 non è per una èlite e basta. E’ un discorso pop, nell’accezione positiva del termine; la musica è libera, è vera, non è un clichè. Come Jhon Lennon diceva che Central Park non è di New York ma di chi lo calpesta, così la musica è di chi la ascolta.
Hai in cantiere un nuovo album e, se sì, di cosa parlerai questa volta?
Sì sto lavorando al nuovo album, ma parlare di un disco non ancora finito non è semplice. E’ un disco che non affronta quasi per niente il tema dell’amore, e per smentire e confermare la risposta precedente , è un disco molto cupo e scuro dove ci saranno molte partecipazioni belle e importanti, di cui inizio ad essere veramente orgolgioso. E’ già un traguardo per sè stessi riuscire a fare un disco così, senza pensare se poi lo venderai o no.
Riccardo Sabetti se diventerai una star della musica nei panni di chi ti vedresti?
Trent Reznor con i capelli cotonati.
Spiegaci perchè.
Per il modo di comporre, di affacciarmi alla musica vedo più che altro come padri ipotetici Reznor e Smith, però, dico una cosa del genere, con un rispetto e adorazione massima. L’ispirazione principale viene da loro, quindi sì, Reznor cotonato sarebbe un bel futuro.
Articolo del
26/05/2010 -
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