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Pavement
Pavement + Monotonix live @ Atlantico - Roma, 24 maggio 2010
Roma
24/05/2010
di
Andrea Belcastro
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Folli, feroci, un po’ idioti e casinari. I Monotonix sono un pugno in un occhio dal punto di vista stilistico e visuale, e sono un pugno in un orecchio da quello sonoro. Una ferocia inaudita ed il frontman più folle che abbia mai solcato un “palco” rock. Si, palco con le virgolette, perché il trio si muove dinamicamente - quasi fossero blocchi di Tetris – lungo tutto il pavimento dell’Atlantico, dando luogo ad uno spettacolo unico nel suo genere e decisamente azzeccato. Musicalmente parlando, si tratta di riff ripetitivi sparati oltre il muro del suono che (in comunione con lo show visivo prodotto) forse mascherano una certa debolezza compositiva. Quella che certamente non manca ai Pavement e al suo leader Stephen Malkmus, il quale, trascorsi gli ultimi dieci anni dopo lo scioglimento della band a rincorrere invano il fantasma di se stesso sia in studio che dal vivo, ha pensato bene di ripescare – seguendo la scia di Pixies e Dinosaur Jr. – il forte brand del gruppo indie, forse, più celebre e celebrato degli anni ’90. Tour da tutto esaurito nella maggior parte delle date, una raccolta per rimembrare i fasti del passato e per rimpinguare le tasche ormai tristemente vuote. Un carrozzone di indie-lo-fi-nostalgia che ha toccato l’Italia in due date: Roma e Bologna.
L’Atlantico non conterà certamente a fine serata una folla oceanica, ma il locale/tendone della capitale è pieno per circa la metà della propria capienza, e sebbene la struttura appaia curata e adatta a spettacoli simili, la resa sonora purtroppo non è esattamente delle migliori. Problema fastidioso e che sembra attanagliare un po’ tutti i locali della scena alternativa romana. Un vero peccato. Potrebbe essere una buona attenuante per eventuali difetti, ma in realtà il concerto lascia l’amaro in bocca anche a causa della band. Perché, se da un lato la lunghissima set-list è quanto di meglio i fan potessero aspettarsi (alla fine dei tre bis non manca all’appello praticamente neanche uno dei pezzi migliori e non ha senso citarne alcuno perché ci sono davvero tutti), è la performance espressa dai Pavement a difettare di mordente. Malkmus tra i suoi movimenti dinoccolati (ricorda vagamente David Byrne) e il singolare modo di suonare la chitarra (quasi fosse un basso) guida i suoi compagni in un terreno musicale, espressivo ed esecutivo, piuttosto accidentato che, nonostante esalti i nostalgici durante i refrain più famosi, lascia davvero poche emozioni sincere e neanche una soddisfazione puramente e filologicamente musicale.
Un retrogusto malinconico che ci mette in guardia sulle non sempre piacevoli sensazioni del riaprire l’album dei ricordi con le sue foto ingiallite.
Articolo del
31/05/2010 -
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