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Devo ammettere che se non fosse stato per una serie di coincidenze fortuite, e per la defaillance di uno dei responsabili storici di Extra!, non sarei riuscito a vedere uno dei concerti più intensi dell’anno. Stiamo parlando della discesa dei Wilco, sold out, all’Auditorium Parco della Musica, e precisamente nella Sala Santa Cecilia, testimone di molti concerti Rock, dove la erre maiuscola è d’obbligo.
Contrariamente alle abitudini dell’Auditorium il concerto prevede una band spalla di cui pochissimi sono al corrente. Non essendone al corrente riesco a vedere solo due brani dei Retribution Gospel Choir, trio funambolico costretto a suonare prima delle 21, orario d’inizio previsto per i Wilco. Fare un opening act è spesso difficile, ma suonare mentre la gente prende, lentamente, posto e le luci rimangono ancora accese diventa un’impresa da A-Team. Nonostante questo apparente senso di “ostilità” la band offusca le luci con la propria aurea, la loro è una melodia violentata da furiosi digressioni punk noise/noise garage psichedelico. Le chitarre cozzano contro il basso mentre la sezione ritmica esplode come una nana gialla. Ed è proprio di esplosione che si deve parlare perché a metà brano qualcosa salta e la band viene segata. Nonostante i tentativi di rimanere ancorati sul palco per terminare la loro esibizione le cose non vanno e un sconfortato cantante annuncia che la band deve lasciare il palco, loro malgrado, proprio mentre stanno decollando.
Alle 21.30 sei figuri entrano, in silenzio, sul palco, accolti da un boato da stadio. Sono i Wilco a prendere posto dietro i proprio strumenti, tutti in perfetta forma, particolare che si può notare, con facilità, sin dalle prime eleganti note. Due chitarre elettriche in avanti, poste ai lati del palco, il leader al centro, sul fondo si staglia il dinamico, e instancabile, batterista e, alla sua sinistra, basso e tastiere. Con questa formazione i Wilco si apprestano a battere 6-0 il pubblico dell’Auditorium. E signori è proprio il caso di dirlo è cappotto sonoro! Lo show parte delicato, ma con sprazzi di puro noise violentissimo, dove la band da prova di un eclettismo che lascia piacevolmente ammutoliti. La scaletta verte sui classici della band, Via Chigago su tutte, e copre un arco di ben oltre le due ore e venti minuti di puro estratto elettrico, fatto di rumorismi e psichedelia mantrica, con i due axeman impegnati a produrre temibili scorie radioattive. La sezione ritmica Kotche / Stirratt ha il suo bel da fare per tenere insieme questo processo micidiale e preciso come una meccanica svizzera. Sono passati sedici anni e nove dischi, nonostante questo ampio lasso di tempo il pubblico non ha mai mollato la presa. È davvero impressionante la mole di rumore, bianco, prodotto dal combo, le parti melodiche vengono spesso straziate dagli interventi di Nels Cline che, oltre ad una tecnica sopraffina, vanta la capacità di irrompere, nei brani, obliquamente con digressioni taglienti come vetro. I suoi soli accarezzano come una weepin’ guitar gentilmente guidata da Gilmour o sferzano con pericolosissime virate dalle accelerazioni pari a 3G. Non è quantificabile il suo contributo, davvero un mostro assoluto. La voce di Jeff appare pulita e limpida, sembra impossibile coglierlo in fallo o intaccare la sua sobrietà, anche quando la band impazzisce eruttando un sound infernale. Tweedy cambia chitarra spesso e il pubblico, superata la prima ora, si alza in piedi per una standing ovation ancora prima che il brano arrivi alla conclusione. Da li in poi sarà tutto in discesa per i Wilco che, camminando di pari passo con il tappeto di applausi ininterrotti, porterà a conclusione uno show da cardiopalmo. Rumorosi, alternativi, e per nulla intimoriti dalla possibilità di osare anche dal vivo, i Wilco si impongono come un mostro tentacolare capace di irretire la sala trasportandola direttamente nelle sonorità di Chicago.
Gli encore sono praticamente un secondo show per durata e intensità, intanto da una buona mezz’ora il pubblico, come attratto da un’invisibile forza magnetica, ha lasciato le sedie della sala confluendo sotto il palco dove i sei animali da palcoscenico continuano a macinare accordi e minuti. Il finale è un tripudio di puro omaggio verso una band amatissima che costringe il pubblico a riversarsi completamente sotto il palco, ignorando le ferree restrizioni (ottusità) degli addetti ai lavori.
Se non ci siete stati non potrete capire in fondo, l’unica cosa che vi resta da fare per ora è sperare che tornino, a breve. In una parola STRATOSFERICI!!
SETLIST:
Ashes Of American Flags I'm Trying To Break Your Heart Bull Black Nova You Are My Face One Wing Shot In The Arm Country Has Disappeared Either Way One By One I'll Fight Handshake Drug Deeper Down Impossible Germany Via Chicago War On War Jesus Etc. You'll Never Know Heavy Metal Drummer Hate It Here Walken I'm The Man Who Loves You The Late Greats California Stars Red Eyed And Blue I Got You Hoodoo Voodoo I'm A Wheel
Articolo del
05/06/2010 -
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