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Molti, troppi, anni sono passati dall’ultimo “vero” disco degli Alice In Chains, nel frattempo il grunge è bello che morto e con lui è sparita anche la più bella voce di questo genere, divenuta ormai parte integrante della terra. La band americana ci riprova portando in tour l’ultima loro fatica, William Duvall ha l’arduo compito di “sostituire” il mai troppo compianto Layne. Questo report potrebbe essere scritta in due modi: il primo continuando a ricordare la mancanza, incolmabile, di un grandissimo artista, anima assoluta della band, il secondo modo è prendendo questo live per ciò che è: un ritorno alla vita, una nuova partenza, con un cambio necessario. Tutti sappiamo che Layne non sarebbe tornato negli A.I.C. e che con lui sarebbe affondata tutta la barca. Cantrell non ha voluto stare a questo gioco, i suoi due album solisti, peraltro molto buoni, ne sono una chiara testimonianza.
È l’Atlantico ad ospitare l’evento che, chiaramente, non registra un sold out, anzi vede il locale riempito per metà. L’età media è tendenzialmente alta, magliette di ogni genere si appiccicano ai corpi sudati per l’afa che avvolge la capitale. Il concerto, che prevedeva una special-guest (mai salita sul palco), inizia cinque minuti prima delle 21.00 e termina alle 22.45, con precisione chirurgica. I tre vecchi compagni pongono al centro del palco William che, con una Gibson Les Laul affianca Cantrell. I presenti sono lì per vedere i nuovi Alice In Chains, con buona pace mia e di qualche altro purista, la loro risposta alle prime note d’apertura non lascia spazio a dubbi. Cantrell e soci sono ancora molto amati, i brani eseguiti con perizia tecnica sono cantati a squarciagola, in un unico coro, da un pubblico attentissimo. Il suono di Mike Inez è mostruoso anche se penalizzato da un’acustica pessima. L’Atlantico non è mai stato famoso per la buona resa sonora, ma stasera il fonico era sicuramente a Ostia a fare un post-aperitivo sulla spiaggia. Quello che viene eruttato dalle casse è un sound impastato e massacrato da compressori abusati e volumi sballati. La sezione ritmica, perfetta dal punto di vista tecnico, ha la peggio, incapace di farsi largo in quella confusione orgiastica di manopole girate a caso. Siamo in molti a girarci verso il mixer per capire cosa stia succedendo, cosa sente lui di diverso da noi, ma l’omino dietro alle manopole sembra soddisfatto, ignaro, forse, che quello è un concerto grunge/metal, dove almeno si dovrebbero distinguere il basso dalla batteria. Quest’ultima è talmente compressa da riuscire a sentine solo cassa e rullante, il suono è il rantolo di un uomo che tenta disperatamente di assorbire ossigeno in un’atmosfera priva di ossigeno. Un pessimo lavoro. La voce di Cantrell, e la sua chitarra, ne escono limpide. Duvall riesce a cavarsela discretamente, dotato di una buona timbrica e capace di abbellimenti nelle linee vocali, impegnato a gigioneggiare con il microfono mentre urla il suo amore per il pubblico, a cui nessuno crede, forse neanche lui.
Il concerto prevede l’esecuzione dei classici, saltando dalla mostruosa Them Bones a una terrificante Man In The Box, che ci manda fuori di testa in blocco. Rain When I Die seguita dalla stupenda Nutshell, sono picchi assoluti, due perle di questo live con Jerry impegnato in un ispiratissimi solo. Sbrigati i convenevoli, rappresentati dai trascurabili quattro brani del nuovo album, accolti comunque con calore, si procede con Angry Chair, sempre capace di demolire una corazzata in titanio, seguita dalla quasi anonima Down In A Hole. Il finale del concerto prevede il trittico Love, Hate, Love, sempre struggente, l’ipercinetica Would, con Inez che non chiede permesso a nessuno per entrare arrogantemente con il suo basso mammut, e la conclusiva Rooster, dove Cantrell e Duvall vengono schiacciati dalle urla del pubblico, ormai arreso ad un’Alice scatenata.
Volendo essere critici fino in fondo bisogna sottolineare un senso di distacco, e di “freddezza”, di alcuni passaggi, percepiti durante il concerto. La “troppa” professionalità della band, unita alla triste acustica, hanno innalzato una sorta di filtro capace di trattenere molte emozioni che non sono arrivate fino a noi. Il resto è stato impeccabile.
Articolo del
11/06/2010 -
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