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A prima vista tutto sembra pazzesco e fantastico, ma dove finisce il fumo ed inizia l'arrosto? Che i Muse siano una band immensa sotto ogni punto di vista non lo si scopre certo oggi, allora facciamoci strada in mezzo a tutto questo “fumo” e cerchiamo di capire l'entità della pura sostanza.
Prima però va spesa qualche parola per i gruppi di apertura, in particolare i Calibro 35, che con il loro revival rock strumentale hanno inizialmente incuriosito ed infine convinto i 60 mila di San Siro. I Friendly Fires dopo una buona partenza con degli intriganti connubi, forti dell'utilizzo in particolare di tastiere e fiati, si sono persi un po' nella monotonia strada facendo. I Kasabian invece hanno avuto vita facile, anche grazie alla fama che li accompagna, nel far entrare i presenti nel mood giusto, eseguendo un'essenziale selezione dei loro pezzi più conosciuti.
E' arrivato il momento, il palco viene invaso da una folla di protestanti che espongono cartelli riportanti le frasi più significative della tumultuosa Uprising, pezzo dai toni rivoltosi, icona del nuovo corso “politico” all'interno dei testi scritti dal frontman Matthew Bellamy. Il concerto si apre proprio con il brano sopracitato eseguito da “Bells” con la nuova chitarra Manson “Casinocaster” a doppio manico, San Siro esplode di entusiasmo, così come per il pezzo successivo Supermassive Blackhole. Dopo New Born e Map Of The Problematique, arriva il momento della prima novità, la tanto discussa Neutron Star Collision, pezzo scritto per la colonna sonora del film-fenomeno giovanile Twilight. Il brano in sé non è certo male come nessuno di quelli scritti dalla band di Teignmouth (Devon – UK), anzi, alterna spunti di piano classico a una cavalcata tendente allo stile Queen, il problema sta nell'identificazione di questo pezzo con un qualcosa di troppo mainstream, anche per chi aveva digerito la svolta commerciale segnata dall'uscita di Absolution nel 2003. Questione di scelte, nessuno biasima i Muse per aver scelto di diventare la band più importante della loro generazione, ma come dice Spider Man (personaggio da cui il batterista Dominic Howard ama travestirsi spesso e volentieri nei live): “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, allora se fino a 8 anni fa quando ci si trovava davanti un fan dei Muse si sarebbe potuto scommettere sulla sua preparazione a livello musicale, cosa dovremmo dire adesso, che quando è stato chiamato sul palco Nic Cester dei Jet per eseguire Back In Black degli AC/DC, c'erano persone che non avevano idea di che razza di canzone stessero suonando? Nel momento in cui una band con i mezzi di cui dispongono i Muse diventa così grande allora subentra il dovere di educare gli ascoltatori ad un tipo di musica che si elevi dai penosi standard odierni, i Muse sono uno dei pochi gruppi a differenziarsi davvero sia dal punto qualitativo che dell'originalità, ma in questo frangente sembrano non voler far altro che omologarsi ai clichè.
Così tra jam eseguite su pedane volanti, vestiti e tamburi fatti di led luminosi, la scaletta non riserva sorprese degne di nota, eccezion fatta naturalmente per Back In Black, durante la quale Matt Bellamy ha potuto scorrazzare a suo piacimento per il palco senza il problema di dover cantare e con il “tuttofare” Morgan Nichols (che ormai accompagna i Muse dal vivo già dal 2006) alla chitarra ritmica. Alcuni si sono illusi per un attimo sentendo le note di House Of The Rising Sun (in versione originale) la rivisitazione dei Muse datata 2004 sarebbe stata una vera chicca, ma si è trattato solo di un interludio seguito poi da Time Is Running Out. La chiusura della prima parte è, come nel tour invernale, Unnatural Selection, mentre il primo dei 6 bis è la romantica Unintended, unica superstite in scaletta dal primo album Showbiz. Questo è il momento decisamente più emozionante del concerto, quando un'eliosfera a forma di ufo irrompe nel cielo di San Siro e da questo disco volante si cala fuori un alieno argentato, che si esibisce in una serie di vorticose evoluzioni aeree sulle note della prima parte di Exogenesis, un vero peccato che venga eseguita solo una delle 3 parti della sinfonia. Dal momento in cui il Signor Bellamy l'ha creata e sviluppata come la più riuscita delle sue creature, che senso ha ora non eseguirla interamente? Magari ospitando un'orchestra sul palco, per ridare linfa vitale anche ai veri pezzi dei veri Muse, quelli derivati dall'influenza classica, come Space Dementia, Megalomania e Citizen Erased. Da un punto di vista puramente commerciale si potrebbe dire che non sono questi i pezzi che hanno fatto arrivare i Muse in cima al mondo, al contrario di altri come Time Is Running Out, Starlight e Hysteria, allora perchè lanciare sul sito ufficiale muse.mu un sondaggio per scegliere le canzoni da inserire nelle setlist del tour estivo e poi non tenerne minimamente conto? Per la data di Milano i primi 3 pezzi classificati erano Citizen Erased, Bliss e Showbiz, tutte clamorosamente ignorate. Questa vuole essere una critica costruttiva motivata dal fatto che è lecito e doveroso chiedere di più al miglior gruppo in circolazione da 10 anni a questa parte.
La chiusura del concerto è trionfale, con Stockholm Syndrome, Take A Bow, Plug In Baby e la ormai consueta cavalcata di Knights Of Cydonia, introdotta da Man With Harmonica di Morricone, nella fattispecie il bassista Chris Wolstenholme.
Non c'è che dire, i Muse non finiscono mai di lasciare a bocca aperta i fortunati che assistono alle loro esibizioni, facendo chiedere a coloro che li seguono da più tempo fino a che punto riusciranno a spingersi la volta successiva. Croce (scaletta) e delizia (scenografia), perchè il cruccio dei veri appassionati resta quello di voler vedere e sentire valorizzati i lavori qualitativamente più importanti, al posto di quelli invece più commerciali e orecchiabili.
Articolo del
12/06/2010 -
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