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È dal mese di febbraio che Roma attende gli Xx, quando a causa di problemi familiari della band di Wandsworth le date italiane vennero annullate a solo una settimana di distanza dai cerimoniali. Finalmente dopo cinque mesi di attesa e un cambio eccellente di location, Oliver Sim, Romy Madley-Croft e Jamie Smith si presentano all’Auditorium Parco della Musica in occasione della rassegna estiva Luglio suona bene.
Il pubblico non manca, e quello che si fa lentamente strada, nell’affollata Cavea dell’Auditorium, è uno spettacolo silenzioso, da luci spente, in cui tutto sembrerebbe essere affidato alla forza invisibile di canzoni dedicate a fedeli affezionati. Difficile descrivere la sensazione con cui ci si avvicina al concerto degli Xx. Curiosità, certamente, mista ad un po’ di timore non solo per il trauma di congedo della tastierista Baria Qureshi ma anche per la notevole semplicità delle melodie che nutre la loro musica. Nel live la trasposizione tecnica di quanto appena detto, rinvia, infatti, alla modulazione di un suono che risente moltissimo la mancanza di una tastiera più costante, laddove l’imprevedibilità di una ‘viva’ esecuzione è totalmente azzerata da un’esibizione che replica fedelmente l’ascolto del disco. L’unico colpo di testa che la band si concede, sta nel rifacimento di quelle ‘tastierine’ che nel 1983 diedero a Bronski Beat i cinque minuti di notorietà e al cantilenante singolo di Smalltown Boy (che suona più o meno come ‘run away, turn away, run away, turn away’) l’eternità del ritornello. Una volta saliti sul palco, gli Xx indirizzano i pezzi con la sapienza dei classici tratti dall’omonimo debutto rieseguito integralmente. L’apertura in assolvenza è affidata a Intro e Crystalised. E mentre Romy e Jamie lasciano crescere l’atmosfera (Islands), la loro perfetta affinità vocale condiziona i colori e i dettagli dei giochi di luce (Heart Skipped A Beat). Ma è quando decidono di spaventarci che rallentano sino all’inverosimile. E questo è, infatti, il caso di Fantasy che, quasi, a metà scaletta allenta un valico spettrale, dove la chitarra si fa eterea e Oliver Sim padrone del palco. Ma il vero ordigno deve ancora scoppiare. Le monumentali architetture elettriche di VCR mandano in estasi una platea trattenuta ancora più in caldo da Teardrops e Night Time. Seguono, suggestiva l’appiccicosa melodia di Basic Space e il rintocco melenso delle chitarre di Infinity.
La macchina del tempo viaggia verso le sonorità spleen wave degli Ottanta e i tipici rimbalzi vocali dei Novanta. Ma è altrettanto chiaro che gli Xx lavorano molto sull’evocazione di sensazioni e su un cantautorato intimista e tipicamente femminile. Impossibile chiedere loro a quale genere appartengono o limitare le loro influenze all’ambito musicale. Pensiamo, anche, all’aftershow che a fine concerto li ha visti ospiti in un locale sulle sponde del Tevere, dove Romy Madley-Croft, calata nella veste di dj, ha curato una selezione cha, tra pezzi di Madonna, Lauryn Hill e revival disco anni novanta, al Deejay Time di Albertino e Fargetta avrebbe fatto un baffo.
L’oretta scarsa di concerto si conclude sulle note di Stars. Il buio risucchia gli Xx e le luci ridestano i presenti ancora mentalmente disabilitati. A conferma di un live monocorde e pressoché identico al disco, a questo punto, non possiamo che ribadire quanto già detto lo scorso novembre nella recensione dell’album. Gli Xx sono, indubbiamente, bravi, ‘morfinici’ e giovani. Ma visto l’esito, non sembrerebbe lecito attendersi diverse e più incisive manovre di suono. Per tutto il resto, poi, crediamo ancora in qualche miracolo.
Articolo del
11/07/2010 -
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