(foto di Giancarlo De Chirico)
Poche parole, solo all’inizio, giusto per dire che presenterà “The Line Is A Curve”, il suo ultimo libro, il suo ultimo album, oltre a qualche cosa del suo recente passato, quando era ancora Kate, non più. Adesso ha deciso di farsi chiamare Kae Tempest, dimentica Esther, lascia stare Calvert, a che servono i nomi e i cognomi?
A identificare una persona? E allora vada per Tempest, perché è quello che l* rappresent* meglio, dopo anni di lotta per essere accettat* in un mondo che adora definire, dividere in categorie, Kae non c’entra niente, Kae non è, o meglio è questo, è quello. Ha provato ad essere Kate, quello che gli altri volevano che fosse, come Kate l’ho conosciuta ai tempi di “Let Them Eat Chaos”, un mix di musica e di poesia che proveniva dalla parte più oscura di Londra, un libro, un disco del lontano 2016. “Senza contrari non c’è progresso” citava William Blake, all’epoca, “Nell’amore non c’è timore” citava il Vangelo, all’epoca, me ne aveva parlato Riccardo Duranti, il mio professore di letteratura inglese all’Università di Roma, fine anni Settanta, che poi è diventato il traduttore dei suoi libri, ma tanto tempo è passato da allora, altre pubblicazioni, altre note, altre poesie , altre basi musicali, per un diluvio continuo, un desiderio di comunicare che si trasforma in Tempesta, per Kae che non riconosce più il suo sesso biologico, che se ne frega della identità di genere, che ha amato Kate, ma ora sceglie di essere Kae, che si pronuncia come la lettera K, proprio così Kae, una vecchia parola inglese che vuol dire “ghiandaia” , uccello onnivoro, che però preferisce le ghiande, che vive nei boschi, che comunica con gli altri attraverso il suo verso, esattamente come Kae, che riempie subito d’amore il suo pubblico, che confessa di essere inglese, ma quasi se ne vergogna, perché non c’è niente della politica attuale del suo governo che le/gli appartenga, che sia cosa sua, ma comunque stasera è qui a Roma, e non c’è più posto per nessuno, è un altro “sold out”, vuol dire che qualcosa di Kae arriva, al di là degli aperitivi, al di là delle chiacchiere. Più forte della barriera più o meno insormontabile della lingua straniera, è il suo modo, è il suo tono, è la passione che ci mette, Kae che ha cambiato il suo nome e anche i suoi pronomi, che è felice di stare al mondo, ma vuole starci a modo suo, con determinazione, con amore, ma anche con coraggio.
Accompagnat* dalla tastierista giapponese di nascita, ma londinese di adozione, Hinako Omori, molto influenzat* dalla musica di Bjork, Kae Tempest esegue “Priority Boredom”, “I Saw Light”, “Nothing To Prove”, “ No Prizes”, “Salt Coast” e la fantastica “Don’t You Ever” in rapida successione: “Sentitevi liberi, come mai mi sono sentit* io /Amatevi, senza mai avere bisogno gli uni degli altri”. Testi di grande rilievo e importanti, supportati da una elettronica spinta, che diventa la base musicale per il suo “rap” moderno, sempre all’opposizione, per il suo “spoken word” ossessivo e frenetico quanto si vuole, ma liberatorio. Ascoltate, per esempio, cosa c’è dentro le note incalzanti di “More Pressure”, un electro-beat trascinante e di forte impatto: “più alta è la pressione, maggiore è il rilascio di emozioni / più alto è lo sfogo di emozioni, maggiore è il sollievo/ più forte è il sollievo, maggiore è la fiducia”. Un lirismo semplice e crudo, ma efficace, un viaggio intimo e personale dentro la sua storia di un* londinese, che ha conosciuto di persona la discriminazione e il disagio.
Ma non ci sono soltanto testi arrabbiati e taglienti nella poetica di Kae. Non è affatto così, l’artista sa anche essere dolcissim* e una ballata lenta ma ispirata come “Grace” ne è la prova: “ Ti prego, usami / Ti prego, muoviti dentro di me, liberami/ Ti prego, amami, facciamo della musica insieme/ facciamo rumore, restiamo in silenzio /facciamo l’amore/ fammi sentire amat*, lascia che io ami/ fammi dare amore, ricevere amore, niente altro che amore/ lascia che io viva nell’amore, per l’amore, con l’amore” . Questa sera ci si commuove, bisogna ammetterlo, grazie a Kae, un* giovane che non ha ancora quaranta anni, che ha superato le logiche inadeguate e perdenti di una società liberale giunta alla fine, che non sa che farsene di un mondo che privilegia l’istruzione, altolocata e autoreferenziale, ad una vera comprensione, gli uni degli altri.
Poco prima della fine di questo suo “recital” assolutamente travolgente sul piano emotivo, ecco che arriva “People’s Faces”, un’altra ballata lenta, musicalmente scarna, ma toccante, tratta da “The Book Of Traps And Lessons” e dedicata idealmente a tutti i presenti: “Siamo qui a ballare nel buio/ dammi qualcosa a cui possa aggrapparmi/ dammi il tuo cuore, sento il tuo dolore/ niente di quello che stiamo vivendo è stato scolpito nella pietra, niente ci è vietato conoscere / E anche quando mi ritrovo da sol* a piangere alla fermata dell’autobus, io sento che le cose stanno cambiando/ perché riesco a vedere i volti della gente, c’è tanta pace che io intravedo sui volti della gente / Maggiore solidarietà, meno avidità, più rispetto/ perché io vedo i volti della gente/ perchè io amo i volti della gente.”
Articolo del
05/12/2022 -
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