È un concerto ad alto tasso di adrenalina e di energia, sopra e sotto al palco, quello dei Black Lips al Monk. La band di Atlanta, tra gli alfieri del garage rock mondiale, con venticinque anni di carriera alle spalle, riesce sempre a sovvertire le dinamiche del suono. Pur allontanandosi ormai dagli spettacoli fatti di eccessi del passato, i Black Lips edificano un live che è estremo nella forza della sua appagante “oscenità” sonora.
Mentre tra il pubblico regna il caos, tra stage diving e pogo selvaggio, sul palco il gruppo, avvolto da luci lisergiche, modula lunghe cavalcate garage, mescolate a distorsioni psych, ad un'attitudine punk che non disdegna la forma del southern rock più morbido.
I volumi e ritmi corrono iperbolici, mentre l'istrionico Cole Alexander si muove picaresco sul palco, Oakley Munson, con la sua vistosa capigliatura, spinge forte sulla batteria, Jeff Clarke a piedi nudi graffia la sua chitarra, Jared Swilley scalfisce il suo basso, e Zumi Rosow, tra sassofono e maracas, porta una grande dose di magnetismo sullo stage.
La setlist pesca un po' da tutta la loro discografia e trasfigura un po' tutte le anime sonore della band. Si parte con le deflagrazioni di “Punk Silme”, seguita dalle ribelli “Family Tree” e “Modern Art”. Vengono passate poi in rassegna “Angola Rodeo” il country “Holding Me Holding You” e la morbidezza soft di “Crystal Night”, per poi tornare a spingere sull'acceleratore con “Can't Hold On”, “Tongue Tied” e “Cold Hands”. Arrivano poi “Time Of The Scab” e “Locust”. C'è infine tempo per un irruento bis che fa scatenare tutti i presenti.
Un concerto dei Black Lips è un party dalla forza dirompente e dallo spirito lo-fi, mescolato a quella sana dose di pazzia capace di allontanare qualunque turbamento. Un live esplosivo e vivace, un'esperienza di pura follia sonora.
Articolo del
08/07/2024 -
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