Un’esperienza rara, il concerto dei R.E.M. Che conferma il sospetto di trovarsi davanti a una band per molti versi inusuale, una grande band. Tutto lo dice, dalla presenza scenica alla qualità del suono, dal palco alla scaletta. Ma andiamo con ordine: sebbene uno possa pensare di Michael Stipe che è ascetico, schivo, forse un po’ paranoico, dopo averlo visto dal vivo deve aggiungere all’elenco una certa schizofrenia, perché – pur senza essere un vero e proprio animale da palcoscenico – tiene la scena in maniera eccellente, la silhouette del viso accentuata dalla maschera azzurra di quest’ultima fase, una gestualità magnetica e la sua voce, che non perde un colpo e in certi casi raggiunge picchi di intensità inattesi, come nel nuovo arrangiamento di "Walk Unafraid". Il live dona anche agli altri, comunque: le atmosfere si susseguono fluide, dall’elettricità stridente di "What’s The Frequency, Kenneth?" all’allegria festosa di "Electrolite", alla denuncia severa di "The Final Straw", al pianoforte solo di "Nightswimming". E questa breve e lacunosa sequenza dà un’idea di quello che secondo me – che ascolto i R.E.M. da tanti anni – è l’aspetto più bello della serata e della band: il costruire il proprio percorso attingendo ai diversi passati, al gusto personale e all’affetto per i brani fuori da una logica solamente commerciale, così da poter trovare "Leaving New York" accanto a "Orange Crush": epoche differenti e una bella coerenza, il piacere di suonare di nuovo storie vecchie e di vedere l’intera curva Sud in tumulto ballare "Losing My Religion" e "Imitation Of Life". Il tutto con leggerezza ed ironia, con stile, come il bel palco essenziale che accompagna la musica solo con giochi di luce e un uso geniale del neon: una splendida cornice che, una volta tanto, non aspira ad essere nient’altro che questo!
Articolo del
11/06/2005 -
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