Ieri notte ho capito perché si dice “tessere un incantesimo”. Cassandra Wilson e la sua band questo hanno fatto, con un’arte che è sempre più difficile da trovare nel mare magnum della musica contemporanea. Nel magnifico quadro della cavea dell’Auditorium, su un palco essenziale dove spiccava solo un tappeto per il vagabondare inquieto della cantante, hanno suonato per quasi due ore con maestria, creando un altro tappeto – sonoro – sul quale la voce della Wilson giocava come un magnifico gatto, lasciando sospettare artigli e abissi. Voce-strumento da lei conosciuta e studiata fin nelle minime sfumature, per la quale gli arrangiamenti sono stati studiati con precisione da orafo, cosicché gli altri strumenti, pur suonati superbamente, ne erano letteralmente accompagnamento, senza mai rubarne il ruolo essenziale di centro e raccordo. E che strumentisti! Per quanto detesti gli elenchi, credo che stavolta la menzione si imponga: Brandon Ross e Marvin Sewell chitarre (il primo anche banjo, inedito in alcune notevoli parti da solista), Reginald Veal basso, Jeffrey Hanes percussioni e Grégoire Maret armonica. Difficile dire se ci sia un migliore. Tutti hanno offerto momenti di grandissima musica e tutti hanno dimostrato di saper piegare le proprie doti individuali alle esigenze dell’insieme. Tutti soprattutto, sulla scia della Wilson, hanno mostrato che il volume può – e dovrebbe – tornare ad essere qualcosa di non ovvio, qualcosa che ha una scala che va dal pianissimo al fortissimo e dalle cui escursioni possono trarsi effetti di rara bellezza. La gran parte dei pezzi è stata suonata con delicatezza, un quadro nel quale poteva apprezzarsi ogni nota, ogni singolo istante di bravura, e dal quale spiccavano a tratti, come lampi, attimi di vero pathos. Wichita Lineman, Fragile, Lay Lady Lay e l’inestimabile Redemption Song in chiusura per un’esperienza veramente memorabile!
Recensione di Extra! Music Magazine del Concerto al Club La Palma del 2002
Articolo del
21/07/2005 -
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