Molti froci – e lo dico come lo dice Ennio Fantastichini in “Saturno Contro”: con grande “ruspantezza” e nessun connotato razzista. Affianco a loro – a parte me, stravaccato nella Cavea Superiore nonché in avanzato stato di disidratazione – una scolaresca di Miss America dodicenni. Tante coppie di fidanzatini, la cui maggioranza della metà maschile è annoiata a morte. Papà in giacca e cravatta (ma la Turco non ha detto di toglierla?) che accompagnano stralunati le infoiate figlie luccicose e sudate. Tanti piccoli cloni del rachitico Jake Shears e della sferoide Ana Matronic. Amiche, amichette, porche, porchette. Ceffi anonimi. Grassoni in trasferta forzata. Ma soprattutto eccentrici dell’ultima ora addobbati a festa. Anche un sosia di un mio compagno d’università (uno antipatico). Insomma: il mondo è bello perché è avariato.
Gli (Le?) Scissor Sisters, musicalmente, sono di un vecchiume folle. Mi pare palese. Solo che da qualche anno a questa parte il vecchiume – o il recupero di benemerite stagioni ormai appassite - pare avere nuova vita. E piace. Piace parecchio – a tratti anche al sottoscritto. Nulla di male nell’incrocio paleo-scientifico fra i Bee Gees, Mika e gli Chic. Con un pizzico di Giorgio Moroder e il piglio compositivo dell’Elton John più gommoso che si possa immaginare. Trattasi di intruglio che però diverte, che fa saltare e che – come in questo caso – riesce a veicolare con efficacia certe rivendicazioni che sembrerebbero acquisite e che invece ogni volta paiono sfuggire. Non a caso, Shears e la Matronic non perdono occasione per ricordarci che il Papa non sta loro molto simpatico (non mi pare che Eugenia Roccella e Paola Binetti fossero sugli spalti, per loro fortuna) e che si, insomma, apprezzano l’omosessualità. Detto questo – motivo della truculenta introduzione -, tecnicamente “fanno quello che devono fare”, come si usa dire in certe scienze dure. E non tanto nei falsetti di Shears (una specie di burattino indemoniato, anche se a tratti disorientato) o nella pur ragguardevole Matronic che è poi la vera padrona di casa, con le sue tettone magnifiche e la sua voce rotonda e piena. Quanto con le chitarre ed i bassi di Del Marquis e di Babydaddy, puliti ed efficaci. Al quintetto-base, si affiancano nel live due fiati (tromba e sax) ed un tastierista, che cercano di parare i danni del live, di stuccare un suono forse troppo bucato. Si, perché se il coinvolgimento della gente ripaga le carenze dello studio col calore della Cavea – assolutamente non sold-out, diciamo riempita sui due terzi della capienza - è anche vero che certi pezzi su disco suonano (ovviamente) molto più “pieni” e cesellati. Quindi, per l’impiastro sonoro di cui parliamo, più belli. Per il resto, non sono mancate le pur parecchie hits che già segnano una breve e rapidissima carriera: dalla splendida “Laura”, sparata quasi in apertura, alla floydiana e stravolta “Comfortably Numb” (che coraggio!), passando verso la fine per la simpatica “Take your Mama”, l’anatema gay “Filthy/Gorgeus”, “Paul McCartney”. E l’immancabile “I don’t feel like dancin’”, suonata durante il bis.
Che dire, se non che forse un contesto come quello della Cavea dell’Auditorium – pur avendo esaltato i fanatici della band newyorkese – non ha forse smosso chi fosse lì per altri motivi che la folle passione. Sono uscito con l’idea che, se li avessi visti in un club più intimo, da poche centinaia di persone, mi sarei divertito molto di più. Questo per quanto riguarda l’aspetto extra-musicale. Sull’aspetto compositivo-musicale, mi pare che se ne sia detto già abbastanza. Anche troppo.
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Articolo del
19/07/2007 -
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