Concerto sold-out. Caos babelico manco fosse Madonna. Parapiglia. Gente che rimane fuori. Gente che spinge. Gente sfinita. Gente inutile. Un sosia (grasso e unto) di Malgioglio. Gente, insomma. “Noi siamo nella lista di Róisín”. Prego lor signori. Transitino, passino. Dio ponga in gloria i fraterni amici dj e i loro infiniti privilegi. Vestiti come due giornalisti gay in trasferta dalla Contrada delle Pecore, anche detta lu paese – uno maglioncino a righe, l’altro maglioncino del nonno arancio-nero – arriviamo poco prima dell’attacco con “Cry Baby”.
Róisín Murphy è allegra e scattosa. Briosa e vivace. Ammicca. Provoca – ma come provocherebbe vostra sorella maggiore mentre si cambia d’abito. L’occhio – disastrato qualche giorno fa a Mosca – sembra funzionare. Lei dà l’impressione che vi davano i manichini della Upim quando andavate a fare compere con vostra madre a sette anni, tanto è perfetta e cerulea. Muta continuamente mise. Si trasforma per ogni pezzo. Berretti lucidi da fetish-poliziotta. Occhiali da sole da mosca tse-tse. Abiti eccentrici e multicolori, bombati, aderenti, spalline, tinte viola-bianche-nere combinate fra loro in un immaginifico patchwork glam. Non trova pace, davvero.
La band fa il suo lavoro: sempre difficile tradurre una produzione dance/elettronica da disco a palco. Molto difficile. Fatto appurato in auto, al rientro, riascoltando “Overpowered” con attenzione da assetati norcini, schivando spartitraffico e taxi. Il paragone è improponibile. E in fondo è anche ingiusto porlo in questi termini. Anche se, appunto, chitarra-basso-batteria-coriste-due macchine lavorano sottraendo (l’unica strategia possibile), rifinendo di cesello. A volte riarrangiando del tutto, abbassando i bpm. Cercando sonorità mid-tempo più da concerto – appunto – che da dj-set.
Le due ore – compresi i bis – procedono sinusoidalmente. Come logico attendersi da un’esibizione del genere. Partenza mozzafiato. Smottamento centrale – dovuto alla durata eccessiva dei pezzi (tagliare due minuti ad ogni traccia, please). Esaltante il picco con “You Know Me Better”, senz’altro il prossimo singolo. Volata finale lanciata da “Overpowered”, prodotta daSeiji dei The Bugz in The Attic e da “Let me know”, il pezzo nato dalla collaborazione con Andy Cato della Groove Armada. Tuttavia, il gusto sopraffino lo lasciano le cose vecchie. Le cose estratte da “Ruby Blue”, nelle quali viene fuori il tocco inconfondibile, allucinogeno e ciclico del geniale Matthew Herbert. Che sono jazz-pop. Che sono nate mid-tempo. Senti “Saw Into You”. Oppure “Forever More”, ripescata da “Statues” dei compianti Moloko – congelati? Macché: belli morti.
La sudata serata volge al termine. Poche dark-lady in sovrappeso del giovedì sera rimangono sulla pista. In giro, l’umanità si disgrega. L’amico dj – dopo avere diligentemente schivato ballerine struscianti in età avanzata - smercia dischi a manager e producer, vero pusher discografico. Per strada incontriamo dei cingalesi in colloquio. Il semaforo lampeggia arancione. Il tronchetto urbano della A24 ci attende. Ritorno a Lu Paese.
Articolo del
10/11/2007 -
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