“Thank you, you’re fuckin’ great!” Mi sembra proprio il caso di far mio il ringraziamento di mr. Fish – al secolo Derek William Dick da Edimburgo, Scozia – al suo fedele pubblico, per ringraziarlo a mia volta dell’arte e della passione che sa infondere nella sua musica. E di essere com’è, imperterrito nonostante gli anni che vanno e i segni che lasciano, nel corpo e nella voce. E non vuol essere, sia chiaro, uno sfoggio d’ironia: sono passati vent’anni dalla tappa italiana con i Marillion di Misplaced Childhoode siamo ancora qui, lui e noi, e com’è normale siamo anche diversi, più “maturi” – come ha osservato con ironia. Cosa che non ci ha impedito di saltare per più di due ore all’incantevole mix di canzoni che ci ha ammannito, nello show-celebrazione che saluta il tredicesimo album solista, 13th Star, e il ventennale di Clutching at Straws, l’ultimo disco dei Marillion cui ha preso parte. Titolo eloquente, Clutching at Stars; scaletta calibrata a perfezione per favorire una calda accoglienza dei nuovi titoli: si apre con Slàinte Mhath, per passare poi subito a Circle Line, pezzo d’apertura del lavoro più recente. E poi Square Go, secondo brano della tredicesima stella, e via attraverso cose vecchie e nuove: Cliché e Vigil in a Wilderness of Mirrors dal primo da solista, quasi tutto Clutching at Straws, con una splendida suite di Warm Wet Circles e That Time of the Night, Manchmal e Dark Star. Un’esibizione senza risparmio, trascinante, favorita dall’acustica eccellente e dalla cornice postindustriale di Stazione Birra, notevole live club sull’Anagnina, e da un gruppo perfetto per la personalità di Fish: ottimi musicisti – impossibile non segnalare almeno Frank Usher alla chitarra solista – che tessono senza protagonismi la giusta trama sonora per mettere in luce le sue doti di frontman. Ed ecco che, nonostante il tempo e la vita sregolata l’abbiano appesantito, in certe pose gli occhi giocano strani scherzi e sembra di rivederlo giovane, truccato e sicuro di sé: eretto, la sinistra appena poggiata al fianco, la destra protesa in avanti quasi a porgere il microfono al tributo del pubblico. L’illusione è ancora più forte nei bis, quando, nonostante la voce ormai stanca, affronta prima Incommunicado poi The Last Straw. E tutto si sovrappone e gioisci per te, per lui e per tutti gli altri che sono lì vicino e ballano e cantano. “Thank you, you’re fuckin’ great!”
Articolo del
03/12/2007 -
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