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Il Sinister Noise ospita i Firebird, superband nata dall’incontro di Bill Steer, ex Napalm Death e Carcass, con il bassista dei Cathedral e il batterista degli Spiritual Beggars. La line-up arrivata a noi ha visto molte dipartite, consolidandosi oggi con Smok Smoczkiewicz al basso e Ludwig Witt alla batteria.
Arrivo al locale troppo tardi per vedere l’intero show del gruppo spalla che è già in dirittura d’arrivo. Gli ultimi due brani, suonati dai Grand Sound Heroes, appaiono abbastanza convincenti, il cantante tira fuori grinta e una bella voce roca, mentre il suo tentativo di omaggiare Hendrix (?) incendiando una piccola parte centrale del palco, a mio avviso, sembra fuori luogo. Nel complesso i due pezzi spaccano.
Subito dopo è il momento dei Firebird che meriterebbero il giusto apprezzamento per la dedizione e gli ottimi lavori prodotti in questi dieci anni di attività. Siamo davvero in pochi di fronte a Bill Steer e soci apparentemente incuranti di questa mancata risposta romana. È veramente triste ritrovarsi, in una capitale con più di due milioni di abitanti, con una sola manciata di anime di fronte ad uno show esplosivo. Secondo Steer e soci l’hard rock, a forti tinte blues, prodotto negli anni settanta possedeva un'intensità inarrivabile per la maggior parte delle band odierne. I riff e la strumentazione vintage sono li a testimoniarlo. Chitarre Gibson, basso diavoletto e batteria spartana, ma potente, s’affiancano creando un groove seventies spaventoso, divertente e molto caldo. Lo show si basa quasi interamente sull’ultimo album, “Grand Union”, in vendita allo stand a dodici euro. Dopo l’opener “Blue Flame” il sound viene equilibrato dall’ingresso del basso, quasi assente a causa del flebile volume in uscita. Le quattro corde diventano la seconda colonna portante delle strutture hard rock dei brani, affiancando la batteria di Ludwig. Il pubblico comincia a scaldarsi quando Bill avanza sul palco per i suoi soli carichi di quel sound viscerale che caratterizzava il primo frastornante blues dei Cream. Quello che segue è puro, ma originale, omaggio agli anni settanta e ai suoi titani. C’è spazio per i riff dei Grand Funk Railroad ma su tutto svettano le atmosfere zeppeliniane. Il lavoro di Smok Smoczkiewicz è impagabile, le sue dita si avvinghiano alle corde, il lungocrinito bassista sembra essere posseduto dal suo stesso sound, uno spettacolo elettrizzante. Steer, dal canto suo, suona con una facilità imbarazzante, producendo soli di ottima grana, taglienti e caldi. Non c’è spazio per virtuosismi o pose pacchiane da guitar hero, le idee su cui sono costruiti i brani sono semplici e dirette. Come se non bastasse il power trio scaglia, contro il pubblico, una sanguigna versione strumentale di “Red House” dell’imperatore della chitarra elettrica Jimi Hendrix. Superata la metà dello spettacolo Bill abbandona, momentaneamente, la chitarra per prendere l’armonica, infilando due pezzi di blues dal vago sapore southern, sfoggiando una tecnica impeccabile. Il concerto si conclude con una stupenda cavalcata di hard rock acido che mette d’accordo proprio tutti.
In un periodo che vede la netta rimonta del rock costruito su riff muscolari, probabilmente dettata dal ritorno prepotente degli immarcescibili AC/DC e dei loro epigoni, i Firebird non possono che trovarsi a loro perfetto agio. Let There Be HARD ROCK!!
Articolo del
09/05/2009 -
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