|
Jackson Browne ovvero della coerenza. Sempre ostinatamente uguale a sé stesso in tutti questi anni: medesimo sound di californiana perfezione, taglio di capelli identico a quello esibito nelle foto degli esordi (anche se oggi è probabile che siano tinti), camicia psych scolorita che probabilmente è la stessa acquistata in qualche mercatino di Topanga nei remoti anni ’70, jeans bisunti e mocassini che hanno visto tempi migliori. Magro come e più di prima, anche se il tempo ha indurito il suo viso da eterno fanciullo e le rughe non sono poche. E poi ciò che più conta: la voce. Anche quella è la stessa di “allora” e non gli dà problemi a raggiungere le giuste note, mica come quella odierna di Bob Dylan che pare sempre sul punto di esalare l’ultimo respiro.
Poi certo, sull’altro piatto della bilancia è innegabile che Browne sia rimasto fermo agli anni Settanta, e da lì non si è mai schiodato. Come noto, all’epoca fu – insieme a Joni Mitchell, Neil Young, gli Eagles, Linda Ronstadt, J.D. Souther, James Taylor ed i Fleetwood Mac – uno dei capiscuola del cantautorato West Coast, ma in seguito non ha mai azzardato sperimentare alcunché di diverso. A differenza della Mitchell e di Young, per citarne due sempre pronti a lanciarsi verso l’ignoto. Come conseguenza, oggi chi viene a vederlo dal vivo desidera innanzitutto ascoltare i classici tratti dai “soliti” cinque album del periodo d'oro 72-77, e poco importa che stavolta ci sia un disco nuovo di zecca da presentare, “Time The Conqueror”. Ma di questo Browne appare perfettamente cosciente, tanto che a un certo punto ringrazia quasi contrito i presenti per avere la pazienza di sentire i nuovi brani alternati a quelli ben più amati del passato.
E’ la terza volta che Jackson Browne viene nella Capitale nel giro di sei anni, e questa volta – rispetto al precedente tour acustico in coppia con il fedele amico/chitarrista David Lindley – si presenta con una full rock band, la stessa che lo ha accompagnato negli ultimi 15 anni: Kevin McCormick al basso, Mark Goldenberg alla chitarra, Mauricio Lewak alla batteria e Jeff Young alle tastiere, più le due coriste Chavonne Morris e Alethea Mills. Ovvio quindi che la partenza sia molto rockettara, con l’energica “Boulevard” tratta dall’album del 1980 “Hold Out”. Si prosegue con “Barricades Of Heaven” (da “Looking East”, 1996) ma la prima ovazione da parte della gremita platea (a occhio, a un passo dal sold-out) arriva con l’esecuzione, con Browne alla pianola, di “Fountain Of Sorrow”, una delle ballate più toccanti del capolavoro West Coast “Late For The Sky” del 1974. “A very old song”: così Browne introduce il brano successivo, un altro da tuffo al cuore, quella “These Days” da lui scritta nel lontano 1967 per Nico, la ex-Velvet Underground alla ricerca di materiale per lanciare la sua nascente carriera solista. Per la verità meno ciarliero del (suo) solito, Browne racconta la genesi dei brani successivi, “Culver Moon” (da “Looking East”, 1996) – ispirata al quartiere di Los Angeles frequentato da artisti in cui andò a vivere dopo essere scappato da casa per cercare fortuna nella musica – e di “Time The Conqueror”, “Live Nude Cabaret”, “Off Of Wonderland” e “Giving That Heaven Away”, quattro brani che nonostante siano tratti dal nuovo album hanno delle radici ben piantate nei soliti anni ’70. La prima parte del programma termina con una fantasiosa, diluita esecuzione di “Doctor My Eyes”, uno dei primi successi di Browne tratto dal primo album del ’72, che viene fusa nel finale con la più recente “About My Imagination” (da “The Naked Ride Home”, 2002).
Dopo un intervallo di una ventina di minuti, il cantautore losangelino torna sul palco dando l’intenzione di voler dare ai fans ciò che più desiderano. C’è quindi molto “Late For The Sky” in questa seconda parte (su tutte: due impeccabili esecuzioni di “For A Dancer” e “Before The Deluge”); c’è ancora un brano del primo album (“Something Fine”); e c’è, soprattutto, il formidabile terzetto finale composto da tre leggendarie title-tracks: “Late For The Sky”, “The Pretender” (1976) – per la verità in una versione al di sotto della sufficienza – e “Running On Empty”, dall’omonimo album dal vivo del 1977, forse l’ultimo davvero rilevante della carriera dell’oggi 60enne cantautore.
Pubblico tutto in piedi a invocare un bis, che prontamente arriva con l’estesa, latineggiante “I Am A Patriot”, il brano di Little Steven ripreso da Browne nell’album “World In Motion” del 1989. Non proprio un gran finale. Tutti a casa? Macché: il pubblico rumoreggia e costringe Browne a ripresentarsi sul palco. Da solo alla sua pianola, attacca a cantare la sua “classica” canzone di fine concerto: “Now the seats are all empty / Let the roadies take the stage / Pack it up and tear it down / They’re the first to come and the last to leave...”: lo storico inizio di “The Load Out”, brano che dal vivo esegue solo – dicono – in circostanze eccezionali. Torna sul palco anche tutta la band e, come sul disco, in men che non si dica “The Load Out” sfocia in “Stay”, vocalizzata alla perfezione fino alle sue altissime note dal tastierista Jeff Young, uno che probabilmente in una vita precedente deve aver fatto il cantante.
“Perché non rimani... Anche solo un po’ più a lungo...”, canta il pubblico in coro decretando a Jackson Browne una interminabile ovazione, con un tale affetto transgenerazionale che lascia – almeno in apparenza – basito lo stesso cantautore. Ma come di prammatica, alla fine i musicanti lasciano il palco e non ritornano più. Poi si riaccendono le luci ed è come svanito un incanto: non siamo più negli anni Settanta ma nell’ultra-tecnologico 2009, dove i telefonini riprendono a squillare e si controllano le foto scattate con le macchinette digitali.
SETLIST: Boulevard The Barricades Of Heaven Fountain Of Sorrow These Days Time The Conqueror Off Of Wonderland Live Nude Cabaret Giving That Heaven Away Doctor My Eyes About My Imagination
Something Fine For A Dancer Before The Deluge Lives In The Balance Going Down to Cuba Just Say Yeah Late For The Sky The Pretender Running On Empty
I'm a Patriot/ It's your Thing (Isley Brothers) The Load Out / Stay
Articolo del
13/05/2009 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|