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Ripenso a prati verdi, al vento e al sole. Mah, forse al sole no, quello c’è, ma il resto evidentemente manca e si sente. Già perché quello che doveva essere il festival all’aperto di quest’anno, Rock in Idro, è diventato la sagra della sudata indoor ambientata al Palasharp, un trionfo di cemento e asfalto mica male. Tranquilli, sono stati montati sessanta (!) climatizzatori industriali, il caldo non sarà un problema. Ma va? Si vede che ho sbagliato festival perché quello a cui sono stato era bello caldo, direi addirittura tropicale, tanto da rendere quasi impossibile la sopportazione. E non mi stupisco di trovare sporcizia a ogni angolo, bicchieri e bottiglie e vomito.
Ma siamo venuti per la musica no? E parliamo di musica. Domenica 14 giugno 2009, giorno della seconda venuta dei Faith No More in Italia (il tono biblico è di rito). Sono molto emozionato come non mi capitava da tempo. Beh, a quanto pare siamo in pochi a essere emozionati: sembra che i beniamini di turno siano i redivivi Limp Bizkit, e che la gente non aspetti altro che il loro set. Questa giuro non me la aspettavo, incasso, registro e porto a casa. Comincio a sospettare che i tempi siano cambiati più di quanto immagino, e che forse non c’è più posto per dei maestri come i FNM, che forse il loro ricordo è svanito nel marasma emo dei duemilae.
Mentre continuo a sospettare mi avvio all’interno del palazzetto. Prendo posto sulle poltroncine della tribuna e inizio a godere del pomeriggio, armato di granita e birra. Breve cronaca della sezione pomeridiana: in scaletta abbiamo Idols Are Dead, My Hero, All That Remains, Parkway Drive, Gallows e Bring Me The Orizon. Ragazzi che fatica. Screamo - hardcore per cinque ore e passa. La testa fuma e i timpani chiedono pietà. Chi è il genio che ha preparato la scaletta? D’accordo che sono tutti dello stesso partito e che forse il giorno prima avrebbero stonato, ma chi ci pensa alle povere orecchie di noi domenicali? La platea ha accolto bene, per carità, con un pogo micidiale che dall’alto fa un certo effetto e con un calore evidente, specialmente nei confronti di Parkway Drive e BMTH. Io ho preferito i Gallows, ma per modo di dire: non è possibile e umanamente sano reggere a una sequenza come questa. Ci credo poi che la gente sta male, già fa caldo, se poi ci aggiungiamo uno che ti urla nelle orecchie come un forsennato per cinque ore voglio proprio vedere come ne esci. Vabbè, c’è chi si è divertito. Io ho cercato di riposare e tenermi per la sera.
Alle sette arrivano i Lacuna Coil. Raccolgono un nutrito numero di sostenitori al loro capezzale. Il palazzetto si riempie e il set soddisfa tutti. Tranne me, io proprio non li reggo. Non me ne abbiano i metalloni più incalliti, ma davvero non riesco a farmeli piacere. Mi danno l’impressione di essere una boyband metal male assortita (hanno pure i costumini di scena), non reggo i testi e nemmeno quell’aria da duri un po’ anacronistica. Per non parlare della sparata populista contro i “politicanti” che rovinano il rock: sì, di cose da dire in questo senso ce ne sono a palate, ma andrebbero dette come si deve, con nomi e cognomi, con una vera incazzatura metallica che fa tremare i muri, con un cavolo di spirito rock nelle vene, altrimenti è solo facile propaganda e qualunquismo e l’Italia ha già chi provvede a farci il pieno di stronzate. Il set si chiude comunque nel tripudio generale della cover di Enjoy the Silence dei Depeche Mode. No comment. Scendo dal mio trono verso le otto, guadagno posizioni e mi rassetto per la serata.
Iniziano i Limp Bizkit. Il set dura meno del previsto, un’oretta e un quarto contro l’ora e mezza prevista. Fred Durst e compagnia sono invecchiati molto. Non sanno suonare e fanno del loro meglio per riempire il tempo concesso. Il celebre frontman sfoggia la maglia dei Faith No More e gioca a fare il brillante. E’ noto il litigio tra lui e Mike Patton. Ci sarà da ridere? Intanto non si lesina sui “vaff” e il set langue nella penuria di una voce che manca e di un’evidente incapacità musicale. E’ inutile, non sanno suonare e si sente: penoso il tentativo di accenno a Sweet Child Of Mine dei Guns, se non siete capaci fate a meno no? Questo però non toglie vigore e violenza a un pogo mostruoso. Roba da coreografia, con voragini in platea, vortici e scontri medievali tra cavalieri impazziti. Partecipo volentieri e credo che la bellezza e il fascino di un concerto dei Limp Bizkit stia tutto qui, nella gente che partecipa e non sul palco. Là sopra devono solo sparare i classici e buonanotte, al resto pensiamo noi.
Capitolo Faith No More. Il miglior set di quest’anno si apre alle undici precise. Siamo tutti stanchissimi e sudati all’inverosimile. Ma come per Lazzaro, basta dio a farci resuscitare. E dio si chiama Mike Patton. Nessun dubbio. I FNM salgono sul palco visibilmente invecchiati in giacca e cravatta, con il bastone al seguito e aprono con la cover di Reunited di Peaches & Herb, crooners da sala da ballo e due risate. Bentornati. E poi The Real Thing e la voce di Mike che urla, salta e ti stupra, entra ed esce dalla testa a piacimento e senza nemmeno accorgemene sono stato travolto da una band incredibile, da un suono nuovo e forte, pieno. Vengono letteralmente spazzati via tutti in cinque secondi, con un impatto sonoro incredibile, e una resa live ideale. Mike parla italiano perfettamente. Ride e scherza. Fa battute sull’età. Chi inneggiava ai Limp Bizkit? Ci sbeffeggia: mandate giù questa. Non c’è gara, non c’è mai stata. Evidence viene cantata tutta in italiano. Midlife Crisis e Introduce Yourself sono bombe atomiche. King For A Day e Be Aggressive idem. Non so gestire le forze e mi butto in un canto sfrenato, un coro unico che parte dai primi anni novanta. The Gentle Art Of Making Enemies è la summa teologica del live, il bignami del pogo, la treccani del suono.
Si chiude tutto a mezzanotte e mezza. La messa è finita, andate in pace. Abbiamo avuto la conferma di vivere in un periodo in cui è facile dimenticarsi del passato ed entusiasmarsi per piccole cose, perché si spera che crescano e diventino poi leggenda. Le vere leggende però sono lì a ricordarci che non si diventa dei grandi per caso. I Faith No More sono una leggenda, una di quelle vere che non muoiono mai. Vederli dal vivo è stata un’esperienza impagabile ed emozionante. Non ho idea di quanto tutto questo possa durare, se la reunion è temporanea o se ci aspetta ancora qualcosa. Se così sarà, mi troverete di nuovo in prima fila: we care a lot.
LIMP BIZKIT SETLIST Space Odyssey (intro) My Generation Livin’ It Up Show Me What You Got Break Stuff Nookie Rearranged Eat You Alive Rollin’ My Way Faith Behind Blue Eyes
Take A Look Around
FAITH NO MORE SETLIST Reunited (Peaches & Herb cover) The Real Thing From Out of Nowhere Land of Sunshine Caffeine Evidence Chinese Arithmetic Surprise! You’re Dead! Easy (Commodores cover) Ashes to Ashes Midlife Crisis Introduce Yourself The Gentle Art of Making Enemies I Started a Joke (Bee Gees cover) King for a Day Be Aggressive Epic
Chariots Of Fire/Stripsearch We Care a Lot
Articolo del
21/06/2009 -
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