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Poco da aggiungere al report della data romana dei Depeche Mode. La scaletta rimane la stessa ma cambia il campo da gioco, la celeberrima scala del calcio, lo stadio milanese di San Siro. E sarebbe anche un valore aggiunto se la smettessero con tutta l’arcinota serie di polemiche che si trascina dall’anno scorso più o meno dopo il concerto di Springsteen: volume troppo alto, orari indecenti. Ma è veramente così o siamo di fronte alla solita immancabile voglia di rompere le scatole di quattro signori che abitano nei paraggi e pretendono di andare a letto alle otto? E via così: viene imposto il limite di 78 decibel e non si possono sforare le undici altrimenti intervengono i corpi speciali a sfollare tutti questi assatanati che ascoltano la musica del diavolo.
Insomma, il mio arrivo a San Siro non è dei più speranzosi, anche se dentro di me cerco di non pensarci troppo, altrimenti rischio di rovinare davvero tutto. Entrare nello stadio e starsene seduti in campo è una sensazione tutta particolare, anche per chi non è tifoso.
Poco prima delle sette prendono posto sul palco gli M83, che qualche mese fa ho avuto occasione di sentire alla Casa 139, in altre parole agli antipodi del “mondo”. I francesini fanno bella figura, meglio di quella alla Casa (sarà merito di San Siro), ma le mie paure cominciano a prendere corpo: l’audio è pessimo, maledizione. Mi preparo al peggio.
I Depeche Mode attaccano puntualissimi alle nove. Sulla questione orario non voglio fare il criticone a tutti i costi, se funziona da incentivo a iniziare puntuale tanto meglio, a patto che poi non si faccia tutto di fretta per paura di multe salate (povero Boss) cercando di chiudere alla bene e meglio. Occorre qui fare una distinzione triplice per quanto riguarda il set. Punto primo: a suonare ci sono i Depeche Mode, la qualità è garantita e lo spettacolo assicurato. I pezzi sono quanto di meglio si possa ascoltare, Dave Gahan ha superato un tumore da poco ma sembra stare meglio di me e cerca in tutti i modi di pompare lo stadio, incitando e scatenandosi come un derviscio. I Depeche vanno promossi senza dubbio e con tanto amore. Punto secondo: nonostante venga presto scongiurata la paura di un concerto sottovoce, è evidente che qualcosa non torna. Walking In My Shoes inizia malissimo, non si sente la batteria, e la voce va a farfalle. Poi riprende, ma il danno oramai è fatto. La seconda parte del concerto è migliore sotto l’aspetto acustico, ma la consapevolezza della mancanza di qualcosa in grado di travolgere (volume, manca il volume) è palese. Povera Home, con il solo Martin Gore alla voce impalato davanti a microfono che si scioglie di fronte ad uno dei pezzi migliori di sempre dei DM, ma che sembra dare un annuncio al supermercato, mentre tutti fanno la loro spesa e chiacchierano, chiacchierano senza limite. Punto terzo: e qui è la nota veramente dolente del concerto milanese. Non l’Asl, non il Comune, ma la gente. San Siro è pienissimo, ma non sembra. Inutili i tentativi di aizzare la folla, di coinvolgere. Vige un clima freddo, c’è chi canticchia e chi ripete qualche parolina a pappagallo ma sono evidentemente poche le persone che sanno quello che stanno facendo. A parte un paio di mani alzate il resto langue. Vanno tutti in estasi per Wrong, e lasciano passare Home (sì, ancora Home, mi spiace troppo per com’è stata trattata, uno schifo), come se niente fosse. Sono bravi tutti a sbraitare Enjoy The Silence, solo il ritornello ovviamente, perché forse si è troppo sbronzi o intenti a farsi gli affari propri per considerare chi sta suonando. Sono al centro della platea e mi sento circondato. Quando facciamo notare ai più esagitati presi a fotografarsi spalle al palco tra rutti e parole a caso, che forse è il caso che abbassino la voce perché sul palco Gahan e Gore stanno duettando da brividi per Waiting For The Night ci viene candidamente risposto: “Non siamo mica in biblioteca – rutto – ” e via di grappa. Forse non tutti sono stati così estremi, la mancanza di partecipazione generale però è innegabile, e il rapporto tra pubblico e palco è fondamentale per rendere tutto magico, indimenticabile. Forse qualcuno se lo ricorderà: avete presente i dieci minuti di Black dei Pearl Jam al Forum di Assago? Chi c’era se lo ricorda bene e avrà sicuramente ancora i brividi. E’ di questo che parlo, e la colpa è solo nostra, di tutte quelle persone che non hanno trovato di meglio da fare che venire a tappare un buco allo stadio. Per tutto questi motivi vivo male buona parte del concerto, non mi godo Policy Of Truth e nemmeno Never Let Me Down Again, la mia preferita.
Esco dallo stadio soddisfatto a metà, perché ho comunque visto un ottimo spettacolo, e una delle band a cui tengo di più, e non mi hanno tradito. Sono stato tradito da tutto il resto, e non ci sono decibel che tengano, la responsabilità è tutta nostra. D’altro canto, se ospitare i concerti a San Siro è così un peso, beh basta non farne più, e visto che mi sembra di capire che i promoter stanno puntando sempre di più su Torino, che poi non ci si lamenti del fatto che Milano viene trascurata, visto come trattate la gente. E poi: si rompe tanto per il volume, ma nessuno si lamenta delle orde di bibitari che infestano un raggio di quattro chilometri intorno allo stadio contribuendo a rendere tutto una bella discarica a cielo aperto. Questo va bene, porta soldi no?
SETLIST: 1. Intro + In Chains 2. Wrong 3. Hole To Feed 4. Walking In My Shoes 5. It’s No Good 6. A Question Of Time 7. Precious 8. Fly On The Windscreen 9. Jezebel/Little Soul 10. A Question Of Lust/Home 11. Come Back 12. Peace 13. In Your Room 14. I Feel You 15. In Sympathy/Policy Of Truth 16. Enjoy The Silence 17. Never Let Me Down Again
18. Stripped 19. Master And Servant 20. Strangelove
21. Personal Jesus 22. Waiting for the Night (Bare)
Articolo del
24/06/2009 -
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