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Anche quest’anno è finalmente arrivato il weekend “sacro” per tutti i fan italiani dell’heavy metal e dell’hard rock: è tempo di Gods Of Metal, il più grande festival italiano, nonché uno dei maggiori d’Europa, nel suo genere.
Della scorsa edizione, svoltasi a Bologna, sono ancora vivi i ricordi, non solo del grande show degli Iron Maiden, ma anche delle polemiche sollevate dagli spettatori, per via della location poco adatta ad una manifestazione simile, e dai cittadini bolognesi, a causa della concomitanza con il Gay Pride: una sovrapposizione di eventi che aveva letteralmente paralizzato la città per tre giorni. L’edizione 2009 si svolge allo Stadio Brianteo di Monza, e la differenza, almeno a livello di setting, è notevole. L’ambiente è più ristretto, ma decisamente meglio organizzato: i punti di ristoro, i servizi igienici (per quanto possano essere tali dopo 48 ore di invasione...), i provvidenziali getti d’acqua e gli stand sono disposti in maniera più razionale; la trovata del doppio palco consente un più scorrevole svolgimento del festival e riduce di conseguenza i tempi morti; infine, le tribune coperte dello stadio sono a disposizione di quanti cercano un po’ di riposo dopo l’esibizione della band preferita, o semplicemente un riparo dal sole. Anche se, in verità, alcuni dei presenti non abbandonano praticamente mai i posti a sedere, perdendosi così tutta l’atmosfera del palco, che, specialmente al Gods Of Metal, val bene un po’ di calura.
DAY 1
Una concatenazione di ritardi dei treni e una certa confusione nelle indicazioni per il Brianteo ci impedisce di arrivare in tempo per l’inizio della manifestazione. Riusciamo comunque ad assistere a parte del concerto dei sorprendenti Backyard Babies, decisamente superiori alle aspettative. Poco convinti invece gli Epica, nonostante la bravura della graziosa vocalist, la rossa Simone Simmons. Segue Marty Friedman: indubbiamente un grandissimo chitarrista, ma, se non si è veri e propri cultori del genere, l’esibizione finisce inevitabilmente col risultare interminabile.
L’atmosfera comincia a scaldarsi, in termini di decibel e di temperature. E’ il momento degli Edguy: la band tedesca è tuttora in fase di promozione dell’ultimo album Tinnitus Sanctus, ma i fan accorsi sul posto non hanno certo bisogno di essere ulteriormente convinti, e si sgolano dal primo all’ultimo secondo dell’esibizione. Tobias Sammett è scatenato: è dappertutto, intrattiene il pubblico da showman consumato, scherza, e dà vita a una performance movimentatissima. La scaletta comprende, tra gli altri brani, Dead Or Rock, Speedhoven, Superheroes e King Of Fools, che scatenano il delirio sotto il palco. Quando, con immenso dispiacere del pubblico, gli Edguy salutano, i commenti sono tutti positivi: i fan più accaniti sono in estasi, e quanti non li conoscevano sono rimasti impressionati. Fino a adesso, sono loro i migliori della giornata, ma tutti noi sappiamo di essere qui per i leggendari Heaven And Hell.
Dato che siamo in tempo di esami (molti dei presenti, infatti, sono maturandi all’affannosa ricerca di un break dalla tensione di queste giornate campali), diamo una sufficienza stiracchiata a Lita Ford, la cui performance, tecnicamente discreta, lascia piuttosto indifferente il pubblico. Forse per Lita gli anni si fanno sentire.
I Queensrÿche sono decisamente più coinvolgenti, anche se devono fare i conti con canzoni non facili da proporre dal vivo, e con le avverse condizioni meteorologiche. Inizia a piovere, ma né Geoff Tate e soci, né i loro sostenitori si lasciano intimorire, e portano a termine un gran concerto: gli uni, sciorinando come se nulla fosse brani indimenticabili come Jet City Woman e Empire, gli altri, riparandosi alla meno peggio e continuando a incitare la band.
Alle prese con la malasorte anche i Tesla: per loro qualche problema di carattere tecnico, che li costringe a sospendere il concerto per qualche minuto. Per dirla, molto filosoficamente, con il frontman Jeff Keith: “Shit happens, guys”. La cosa non impedisce ai Tesla di riproporre con la grinta di sempre classici del calibro di Cummin’Atcha Live e Rock Me To The Top. Il ritardo provoca qualche mugugno nel pubblico, ma d’altronde l’impazienza è comprensibilissima: l’attesa per gli Heaven And Hell somiglia sempre più ad una veglia mistica.
Per la cronaca, Ronnie James Dio, Geezer Butler, Tony Iommi, e Vinny Appice sono per il metal quello che Cristoforo Colombo è stato per l’America: in pratica, senza di loro il metal non sarebbe esistito, e il pubblico gli tributa il giusto omaggio. Un gran bel pubblico, va sottolineato, caloroso e compatto come in poche occasioni, che questa volta lascia da parte le contestazioni e i fischi, sempre e comunque fastidiosi (ne sanno qualcosa gli Avenged Sevenfold...). Qui siamo su un altro pianeta: l’apparizione (è proprio il caso di dirlo) di “Dio”&Co., sullo sfondo di una scenografia spettacolare, provoca un boato apocalittico che fa letteralmente tremare il Brianteo. La scaletta è da brividi: pietre miliari della storia del metal come The Mob Rules, Children Of The Sea, Die Young, Falling Off The Edge Of The World e naturalmente Heaven And Hell sono accostate alle più recenti Bible Black, Time Machine, Fear, Follow The Tears, e tutte sono un trionfo. Ronnie è un’onda d’urto, ha un’energia contagiosa; guardandolo viene da chiedersi per quale miracolo (o, forse, quale patto con l’occulto?) alla bella età che ha sia ancora in grado di far impazzire folle di ragazzi, che non erano neanche nati mentre lui, assieme ai vecchi Black Sabbath, dall’oggi al domani si inventava l’heavy metal. Il bis è doveroso, e gli Heaven And Hell non si sottraggono, guadagnandosi l’adorazione eterna degli spettatori. Amen.
Dopo un’esibizione superlativa come quella appena descritta, i Mötley Crüe non partono certo avvantaggiati. Fanno comunque il loro dovere di headliner del festival, e lo fanno bene, proponendo sia pezzi di storia come Kickstart My Heart, Shout At The Devil, Same Ol’Situation, che i nuovi singoli Saints Of Los Angeles e Motherfucker Of The Year, accolti con entusiasmo dal pubblico. La voce di Vince Neil non è impeccabile dal vivo e una cattiva regolazione del suono non aiuta. E’ vero che i cari vecchi Nikki Sixx e Tommy Lee sono sempre talmente su di giri da valere da soli il prezzo del biglietto, e anche stasera non si smentiscono. L’allegria di Tommy Lee, in particolare, è più che sospetta, e le varie supposizioni al riguardo trovano parziale conferma quando il folle batterista sfodera una bottiglia – ovviamente quasi vuota – di liquore e la fa passare tra gli spettatori perché si servano a loro piacimento. Ciononostante, i leoni dell’hard rock non riescono ad infiammare il Brianteo come sarebbe stato auspicabile.
Peccato, anche se la consolazione è venuta dagli Heaven And Hell. Gran finale con Home Sweet Home e, di conseguenza, tutti a casa o nella tenda da campeggio, a ritemprarsi per il giorno successivo.
(CONTINUA NELLA 2a PARTE)
Articolo del
02/07/2009 -
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