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Proprio quando tutti pensavano che Chris Cornell, quarantacinque anni, straordinario vocalist originario di Seattle, protagonista dell’epopea grunge a metà degli anni Ottanta, si fosse bevuto il cervello lasciandosi contaminare dalla disco dance di Timbaland, il produttore di “Scream”, il suo ultimo discusso album, ecco che lo ritroviamo invece all’apice della sua carriera solista, assoluto gestore della sua storia musicale, in grado di rischiare, di cambiare registro, ma anche capace di racchiudere in sé passato e presente, senza sbavature di alcun genere.
Accompagnato da giovani musicisti rock indemoniati come pochi, ma anche dotati di vero talento, Chris Cornell ritorna a Roma nella sua nuova dimensione solista. L’inquieto artista americano, ex Soundgarden, gruppo di cui è stato il front man fino al 1997, ex Temple Of The Dog, insieme con membri dei Pearl Jam, poi ancora con gli Audioslave, insieme a musicisti ex Rage Against The Machine, fino al 2007, ha finalmente risolto le numerose divergenze artistiche che lo avevano portato a numerosi distacchi presentandosi in solitudine, disposto a puntare tutto sul suo talento vocale, davvero immenso. L’inizio folgorante, riservato a “Part Of Me”, il nuovo singolo, e a “Time”, entrambi tratti dal suo ultimo disco, mette in rilievo sia l’estensione che la forza dirompente della sua vocalità. La mistura fra musica dance, citazioni funky e substrato rock sembra ben riuscita, i brani sono gradevoli, e la riuscita live è davvero ottima! Splendida anche “No Such Thing”, tratta da “Carry On”, il suo secondo album solo del 2007, mentre non poteva mancare proprio questa sera, quasi in concomitanza diretta con i funerali di Michael Jackson, l’esecuzione della sua personale versione di “Billie Jean”, trasformata in una rock ballad struggente, tributo ideale allo sfortunato Re del Pop. Chris comincia poi a guardarsi indietro, ed ecco che arrivano perle luminose come “Show Me How To Live”, il pezzo scritto nel periodo Audioslave, e “Hunger Strike”, che risale ai tempi con i Temple Of The Dog. Ancora un brano nuovo, quella “Ground Zero”, scritta in ricordo delle vittime dell’111 settembre 2001, e poi a sorpresa riconosciamo le note di “Spoonman”, un vecchio brano dei Soundgarden, gruppo dalle sonorità acide e zeppeliniane, e proprio quando riflettiamo sulle radici di questi suoni, ecco che arriva “Good Times Bad Times”, una cover prestigiosa tratta proprio dal primo disco dei Led Zeppelin di Robert Plant, una leggenda vivente, di cui forse il solo Cornell un giorno potrà esserne erede. A metà concerto la band si concede un po’ di meritato riposo e Chris imbraccia la chitarra acustica, si siede e ci regala un set gustoso, davvero particolare, che comprende brani come “She Can’t Change Me”, “Fell On Black Days”, “Doesn’t Remind Me” e “Like A Stone”. Un momento molto intimo e sofferto che Chris Cornell condivide con il suo pubblico, accorso numeroso a riempire il locale, con molte ragazze assalite da brividi ad ogni inflessione della sua voce roca e sensuale. Torna la band sul palco, e le chitarre tornano a graffiare sulle note di “Cochise” degli Audioslave, un pezzo metallico oltre misura, urlato a gran voce da Cornell che, ancora una volta cambia rapidamente faccia, come tante altre volte questa sera. Ancora martellamenti, meno estremi però, e sono quelli di “Watch Out” e di “Scream”, altri due brani nuovi, gli ultimi, prima del gran finale. Al momento dell’esecuzione di “Be Yourself”, accolta da grida di approvazione, Chris scende fra il pubblico, e allontana le premure di un muscolare esponente del servizio d’ordine. Non ha bisogno di protezione alcuna, è fra la sua gente, sono loro che cantano le sue canzoni, le mani che si stringono, i sorrisi e le occhiate complici, di cosa aver paura? Il coro dei ragazzi sotto palco è a dir poco emozionante, la band ne è coinvolta e produce sferragliate di chitarre elettriche in quantità sovra umana. E’ il delirio più totale. Dopo una breve pausa, Chris e gli altri tornano in scena per eseguire “Disappearing Act”, tratta da “Carry On”, la ben nota “You Know My Name”, brano che ha riscosso un notevole successo internazionale, inserito fra l’altro nella colonna sonora del film “Agente 007 Casino Royale”, e un’altra citazione da un glorioso passato, quella incredibile “Black Hole Sun” che ci è rimasta incisa sulla pelle da allora, dai tempi dei Soundgarden.
Una serata incredibile di alternative rock che ha mostrato - oltre al già noto talento vocale di Cornell - il raggiungimento da parte dell’artista di una grande maturità compositiva che si va ad unire ad una presenza scenica forte e magnetica.
Articolo del
09/07/2009 -
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