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Tornano le serate estive alla Cavea e torna a mobilitarsi quel bel mondo romano fatto di politici, avvocati, commercialisti, ingegneri e giornalisti che non dicono mai di no ad un bell’ingresso omaggio e per i quali – peraltro – i suadenti e sofisticati Steely Dan paiono fatti apposta. Molti i volti noti in platea e in tribuna, tra cui si segnalano il cantautore Luca Barbarossa, l’economista Alan Friedman e il parlamentare figlio d’arte Bobo Craxi. O magari – chissà - è uno che gli somiglia. C’è anche qualche sfegatato fan del Nord Europa con tanto di maglietta ufficiale di questo “Left Bank Holiday Tour” che dà l’idea di aver seguito passo passo la band nel suo incedere europeo di quest’estate, con una devozione che per gli Steely Dan francamente non ci saremmo mai aspettata.
I “Dan” però si fanno attendere. Al loro posto, alle 20 e 50, si presenta sul palco il Toon Roos Trio, band di supporto olandese che intrattiene i presenti con una mezz’ora e passa di sonnacchiose divagazioni jazz. Bisogna attendere le 21 e 40 perché il pianeta Steely Dan dia segni di vita. Dapprima arrivano in scena unicamente i tredici (13!) elementi della band, che eseguono a mo’ di introduzione una versione di “Teenie Blues”, un vecchio brano del jazzista Oliver Nelson. Poi, accolti da un applauso liberatorio, si materializzano anche loro, il 61enne Donald Fagen e il 59enne Walter Becker, duo sinonimo di “Steely Dan” fin dai primi anni ’70, ossia da quando grazie all’incontro con il produttore Gary Katz rinvennero la formula magica con cui sintetizzare le loro passioni spazianti tra il jazz, il funk e il pop morbido della West Coast. Ed è proprio con il sound dei loro esordi che Fagen e Becker salutano il pubblico romano: con “Reelin’ In The Years” dal primo album “Can’t Buy A Thrill” (1972), che vede Fagen ingobbito sulle tastiere e Becker a inventare cristallini riff di chitarra come ai vecchi tempi. “Sit back and relax and we’ll take care of everything”: questo il consiglio rivoltoci subito dopo da Fagen, che per molti versi riassume pregi e limiti della musica degli Steely Dan: sonorità avvolgenti rese in modo impeccabile ma che non riescono (quasi) mai a coinvolgere e far schizzare dalla sedia il fruitore, e che – anzi – spesso restano educatamente in sottofondo mentre la mente è impegnata in altre attività. E il concerto di stasera non fa che confermare che le canzoni di Becker & Fagen non sono proprio ideali nella dimensione live. Meglio, se possibile, ascoltarle in macchina, magari andando a velocità di crociera sulla litoranea da Malibu a Santa Barbara o viceversa.
Infatti si respira un clima freddo e troppo professionale, stasera, anche se Fagen e Becker hanno deciso di tralasciare i due recenti album della reunion del Nuovo Millennio – a parte l’ottima “Two Against Nature” dall’album dello stesso nome del 2000 – per concentrarsi sui grandi hits degli anni ’70. Si parla di perle come “Showbiz Kids”, “Black Friday”, “Home At last”, “Aja”, “Babylon Sisters”, “Glamour Profession” e di una divertente “Daddy Don't Live In That New York City No More” cantata per una volta da Walter Becker.
E’ tutto (troppo?) perfetto, a parte la forma vocale di Donald Fagen che stasera pare avere qualche difficoltà a raggiungere alcune note. Notevole il batterista Keith Carlock, funambolico il chitarrista aggiunto Jon Herington (quasi un sosia di Lou Reed da giovane), e nulla da eccepire sulla sezione fiati e sulle tre coriste. Benché il pubblico resti sempre ordinatamente seduto – ebbene sì, è “quel” tipo di concerto - gli applausi scrosciano, ancor più quando Fagen attacca a cantare “Way back when / in sixtyseven...”, la limpida strofa iniziale di “Hey Nineteen”, forse la migliore pop-song mai scritta dagli Steely Dan nell’anno di grazia 1980, proprio al termine della prima gloriosa fase del gruppo.
C’è anche la gustosa cover delle Supremes “Love Is Like An Itchin' In My Heart”, quindi le storiche “Josie” e “Peg” entrambe tratte da “Aja” del 1977. Il bis è riservato a due selezioni da “The Royal Scam” del 1976, “Don’t Take Me Alive” e “Kid Charlemagne”, altro indimenticato classico con cui Fagen e Becker sono soliti chiudere i concerti, prima di ringraziare e dileguarsi.
Due ore di musica in tutto, una ventina di canzoni storiche e una performance da veri professionisti. Magari sono mancate le emozioni ma dovevamo aspettarcelo. Non ci era stato detto: “you can’t buy a thrill”, tanto tempo fa, dagli stessi Steely Dan?
SETLIST:
Intro: Oliver Nelson's Teenie's Blues Reelin' In The Years Time Out Of Mind Show Biz Kids Black Friday Home At Last Bad Sneakers Two Against Nature Aja Hey Nineteen Parker's Band Babylon Sisters Glamour Profession Daddy Don't Live In That New York City No More Green Earrings Love is Like an Itchin' In My Heart Josie Peg Don't Take Me Alive Kid Charlemagne Outro: Theme from "Last Tango in Paris"
Articolo del
11/07/2009 -
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