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Alela Diane
Alela Diane live @ Circolo degli Artisti - Roma, 6 giugno 2009
Roma
6/06/2009
di
Luca D’Ambrosio
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È Lady Divine il brano con cui Alela Diane apre il concerto di questa sera a Roma (e a noi più che il titolo di una canzone sembra essere proprio l’appellativo ideale per la giovane cantautrice americana). Nativa di Nevada City (California) come la sua illustre collega Joanna Newsom, Alela Diane (classe 1983) entra sul palco del Circolo degli Artisti accompagnata da un’altra candida fanciulla, la corista Alina Hardin, e dal papà Tom Menig che per l’occasione suonerà in maniera eccellente diversi strumenti a corda (mandolino, chitarra acustica ed elettrica). Ha un look diverso da come eravamo abituati a vederla solitamente su riviste e booklet vari ma, nonostante l’evidente taglio di capelli che in un primo momento ci lascia piuttosto sorpresi, si rivela ancora più incredibilmente bella e raggiante. Canta e suona la chitarra magnificamente portando il tempo con i suoi stivali marroni (così belli da “fare invidia” anche alla mia compagna) e rivolgendo più volte lo sguardo al proprio babbo, quasi in segno di approvazione. È davvero incantevole: ha un sorriso capace di sbaragliare qualsiasi tensione emotiva e una voce di cristallo in grado di zittire anche il mormorio dell’ultima fila di spettatori. Alela Diane ha classe da vendere e i presenti se ne accorgono immediatamente, soprattutto quando intona Tired Feet che rapisce il pubblico accorso abbastanza numeroso in questa calda serata d’inizio giugno (anche se poi bisognerà arrivare alla fine del concerto per poter ascoltare qualche altra canzone di quel capolavoro assoluto intitolato The Pirate’s Gospel). L’entusiasmo è alle stelle. Entra il resto della band, ovvero il simpatico e loquace Tom Bevitori (basso) e il barbuto Otto Hauser (batteria), e le ritmiche si “infervorano”. È la volta quindi di Tatted Lace, Dry Grass & Shadows, White As Diamonds, The Alder Trees e To Be Still, prima dell’unica cover della serata (una deliziosa Heart Of Gold tratta dal monumentale Harvest di Neil Young): tutti sembrano guardarsi attorno compiaciuti, compreso il sottoscritto che lancia un segno d’intesa all’amico Marco posizionato appena qualche metro più in là. Si va avanti con Every Path, My Brambles e The Ocean per arrivare infine alle meravigliose The Rifle, Oh! My Mama e Age Old Blue che lentamente ci conducono alla fine dello spettacolo. Ma sarà The Pirate’s Gospel, accompagnata dal battito di mani degli spettatori, a chiudere definitivamente l’esibizione romana della folk singer statunitense. Un personaggio da annoverare, fin da ora, negli annali della popular music alla voce “Lady Divine”.
(pubblicato per gentile concessione di www.musicletter.it)
Articolo del
15/07/2009 -
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