|
Serata caldissima all’Auditorium Parco della Musica, resa ancora più rovente dall’esibizione del leader e mente dei Creedence Clearwater Revival. Procedendo per ordine: al mio arrivo il pubblico chiacchiera nervosamente in attesa dello show, manca ancora un’ora prima dell’inizio del concerto ma le aspettative sono già alte. Il merchandising di Fogerty si limita a qualche disco solista e alcune magliette che, sinceramente, trovo troppo costose. Il pubblico si divide in varie fasce di età che vanno dai quindici agli ottant’anni, è veramente bello vedere che un’artista di questo calibro possa, ancora, oggi far presa su un pubblico giovane.
Parterre e spalti sono quasi pieni, potrei definirlo un mancato sold out, ma solo per poche unità. John si fa attendere un bel po’, il pubblico rumoreggia ma non è affatto infastidito, anzi accoglie la musica di sottofondo con applausi e mani che battono il ritmo. Alle 21.30 però le luci si abbassano, il resto della band entra e riscalda il pubblico con una piccola introduzione. Di colpo ecco spuntare un uomo attaccato alla sua chitarra. Stivali, jeans blue elettrico e camicia bianca, John è finalmente fra noi, accolto da un sincero boato. Si avvicina al pubblico, lo scruta, sorride sornione, poi si sposta velocemente e dopo il classico “...one, two, three, four...” si parte sulle note dei CCR. “Green River” fa da apripista e Fogerty si produce in un assolo con tanto di tapping, in pieno stile hard rock. I presenti dimostrano il loro amore incondizionato sin dalle prime note e da quel momento non si fermeranno più, sarà un continuo flusso di applausi e standing ovation. John cambia chitarra ad ogni brano eseguendo moltissimi pezzi di repertorio della band madre, ma infila anche qualche sua hit, fra cui “Rockin' All Over The World” e “The Man Down The Road”. Per il resto si passa dalla psichedelica versione di “Suzie Q” a “Who’ll Stop the Rain”, scritta in onore di Woodstock e dei suoi tre giorni di pioggia ininterrotta. Poi il demone del rock and roll s’impossessa del nostro folletto e partono “Keep On Chooglin'”, potentissima, e “Born On The Bayou”, imponente. La voce di questo cantante, che nei CCR mi faceva pensare a un ibrido fra un gemito primordiale e il suono gutturale di un gatto, è sempre potente e limpida. Quando spinge sulla gola la sua timbrica s’inasprisce conferendo un tocco blues ai brani, arricchendoli cosi di un ulteriore fascino, facendoci balzare sulle poltroncine. Non poteva mancare “Looking At My Backdoor” con tanto di violino, trasformata in un country irresistibile. Fogerty non riesce proprio a star fermo, abbandona la sua postazione nel solo, per andare a stuzzicare un pubblico giù su di giri. I bodyguard, ai piedi del palco, hanno il loro bel da fare per contenere la fiumana che tenta di riversarsi verso il leader. “Let The Midnight Special”, introdotta dall’inconfondibile vocalizzo del singer, viene cantata in ogni suo verso, fenomeno che si ripete puntualmente in “Have You Ever Seen The Rain”, brano che sembra incapace di invecchiare. Fogerty imbraccia un’acustica e incita il pubblico, già tutto in piedi, a cantare. È un’ovazione continua, un’emozione pura che si trasforma in puro cristallo con l’arrivo dell’inaspettata “Ramble Tamble”, davvero stupenda nella sua veste hard rock a tinte lisergiche. E ancora “Commotion” seguita da una rullata di tamburi che riconoscerei fra mille per introdurre la splendida “I Put A Spell On You”, ricca di carica sensuale, un brano davvero dirompente. Questo spettacolo pirotecnico si conclude con “Down On The Corner”, la trascinante “Bad Moon Rising” e l’insostituibile “Fortunate Son” che arrivano come un mare di emozioni in tempesta. L’unico vero bis della lunga serata, durata ben due ore, è “Proud Mary”; il pubblico la divora con orecchie e occhi ben puntati su John, il continuo riversarsi ai piedi del palchetto della Cavea è l’omaggio finale che la platea gli riserva.
Sessantaquattro anni e non sentirli, la musica invece, quella sì che John Fogerty la sente, la vive trasudandola da ogni poro della sua pelle. Il regalo più bello è vedere la gioia della gente accomunata da un unico, ammaliante, sorriso stampato sul volto, le labbra si distendono aprendosi leggermente, gli occhi saettano veloci in quel piccolo regno dove il nostro beniamino rimane un sovrano incontrastato. John, you put a spell on us!!
P.S. Per “I Heard It Through The Grapevine” dovrei scrivere un capitolo a parte, solo i presenti potrebbero capire l’emozione di quella canzone risentita dopo anni e anni di attesa. Grazie anche per questo dono inaspettato!
(per la foto di Fogerty in concerto si ringraziano Musacchio e Iannello)
Articolo del
29/07/2009 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|