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Io sono uno di quelli che il Boss lo ama alla follia. Uno di quelli che pensava che “il mondo si divide in due categorie: quelli che amano Springsteen e quelli che non lo hanno mai visto dal vivo” fosse un modo di dire molto carino ma un po’ pompato e che si è dovuto ricredere all’istante. Springsteen è tornato in Italia per tre date, un quintale di persone si sono mobilitate per avere i biglietti prima di tutti, in quasi tutte le redazioni delle testate musicali – e non - si è fatto a botte per gli accrediti, i media hanno messo mano agli archivi per preparare servizi e speciali a riguardo. C’è chi ha già assaggiato il Boss, chi lo ha solo sentito dire, chi lo deve “incontrare” per lavoro, chi lo aspetta come la cometa di Halley. Il Boss è in Italia e tutti ne parlano, tutti hanno una storia da raccontare, un aneddoto succoso, un’opinione diversa.
Questo è quello che ho visto io il 21 luglio allo Stadio Olimpico di Torino. Roma è alle spalle. Ho letto di cosa è stato e mi preparo a qualcosa di diverso. L’attesa fuori dallo stadio è molto lunga e insolita. I fan di Springsteen come di consueto hanno organizzato l’ingresso al pit con appelli ogni due ore e una coda ordinata. Questo turno è toccato anche a me, ho preso in mano le liste e mi sono messo a contare ad alta voce. Non lo faccio mai, non lo farei per quasi nessuno. Per Springsteen sì. E lo faccio perché semplicemente voglio stare davanti, perché questa volta lo voglio vedere da vicino. Una volta nella vita lo devo fare. E’ una faticaccia ma quella di Torino mi dà l’impressione di essere una data particolare e solo non perché è la “mia” data. Le voci girano, specialmente dopo il semi trionfale greatest hits romano. Il Boss non si ripete mai due volte e la parte istituzionale l’ha già sbrigata nello stadio della Capitale. Cosa ci aspetta allora? Qui non vogliamo il riscaldamento, vogliamo la partita vera. Un quarto alle nove e si comincia, ecco l’unico modo per scoprirlo. La cosa va spiegata così: non si può più giudicare Springsteen a livello di qualità sonora e di energia trasmessa: è assolutamente inarrivabile per tutti. Il Working On A Dream Tour 2009 è l’ennesima conferma che Bruce è in uno dei momenti di forma più alti di sempre dai Settanta, che gli anni per lui sembrano non passare mai. Non si può giudicare Springsteen nemmeno per quanto riguarda la portata mediatica dell’evento: come ho già detto è una cosa che coinvolge tutti, dal più giovane dei fan al più vecchio dei redattori. L’unica cosa che lascia spazio a riflessioni è la scaletta. Solo questo. La scaletta cambia, l’E Street Band è un juke box in grado di soddisfare ogni necessità legata alla serata. Rientra in gioco la location, Torino. Dire che Torino non è Roma significa molte cose: non c’è l’ansia della prima volta, il pubblico è diverso, Milano è molto più vicina e con essa il suo imprescindibile ricordo. Il Boss lo sa e mette sul piatto quello che non ti aspetti, quello che a Roma non è successo, quello che anche il più ottimista dei fan non osa nemmeno augurarsi.
Il concerto di Torino è stato un concerto per chi il Boss lo conosce, per chi sa fare a meno di Thunder Road, Born in the U.S.A., Because The Night e Atlantic City. E’ il concerto di Drive All Night, Backstreets, Land Of Hope And Dreams, è il concerto di My Hometown, di ben 6 pezzi ancora inediti in questo tour. E’ il concerto che fa tornare alla memoria il live di Berlino Est nel 1988 dove quasi un milione di persone hanno cantato Born In The U.S.A. e Chimes Of Freedom di Dylan davanti al Muro ancora in piedi, che ricorda a tutti il Boss mai pago del live di Bologna nel 2002 che tira fuori Thunder Road dopo la fine del concerto, per non parlare di Milano ’85 o del recente mostruoso live a Londra dove ha aperto con London Calling nella città dei Clash. Perché con Born To Run a Torino vengono giù i muri. Ecco che cosa è stato per chi ha avuto la fortuna di esserci: un concerto memorabile, e in assoluto uno dei migliori di Springsteen, che è tutto dire.
Dopo le “solite” tre ore di concerto lascio il pit sudatissimo e senza voce, completamente esausto dalle 18 ore passate in fila e da un set che mi ha letteralmente prosciugato. Sono contento per come è andata, sono felice di ogni goccia di sudore versata per un concerto così. Sono convinto che Springsteen rappresenti qualcosa di più per la musica, che attualmente nessuno è in grado di batterlo in quanto a carisma ed energia (anche se Eddie Vedder è sulla buona strada, ma questo ve lo racconterò dopo i Pearl Jam live in Berlino il 15 agosto) e che tutti quanti siamo debitori verso un musicista in grado di raccogliere in tutto il mondo una quantità impareggiabile di persone, di travolgerle e di lasciargli nel cuore una potente sensazione di felicità come nessuno riesce a fare. Perché ai concerti di Springsteen ci si sente proprio così.
“In the day we sweat it out in the streets of a runaway american dream At night we ride through mansions of glory in suicide machines Sprung from cages out on highway 9, Chrome wheeled, fuel injected and steppin out over the line Baby this town rips the bones from your back Its a death trap, its a suicide rap We gotta get out while were young
'cause tramps like us, baby we were born to run”
--------------- SETLIST: Loose Ends Badlands Hungry Heart Outlaw Pete Working On The Highway Working On A Dream Murder Incorporated Johnny 99 American Skin (41 Shots) Raise Your Hand Travelin' Band Drive All Night Two Hearts My Love Will Not Let You Down Waiting On A Sunny Day The Promised Land My Hometown Backstreets Lonesome Day The Rising Born To Run
Land Of Hope and Dreams American Land Glory Days Dancing In The Dark Twist & Shout
Articolo del
01/08/2009 -
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