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Questo è un commento puramente soggettivo, forse.
Chi scrive non è un fan degli Afterhours, è molto lontano dall’esserlo, ma conosce tutta la discografia, ama alcune canzoni, ne apprezza altre e qualcuna la odia pure. Il gruppo milanese deve la sua fama al bel disco (non un capolavoro) datato 1997 Hai paura del buio? e da lì in poi la band ha vissuto di rendita. Per intenderci, Manuel Agnelli è diventato una sorta di Vasco Rossi della scena alternative pseud-indie-rock italiana. Forti delle manciate di ottime canzoni composte in passato, entrambi possono scrivere e cantare di qualsiasi cazzata a corredo di una qualsiasi melodia quanto piatta quanto trita e ritrita, che tanto i fan apprezzano lo stesso, e siam tutti felici e contenti. Perciò da un concerto del genere era lecito aspettarsi tante cose, e dalla performance fuscaldese (l’ennesima) degli Afterhours due cose sono apparse evidenti.
Primo. Il concerto, per quanto lungo, è risultato essere piacevole in molte sue parti e la scaletta abbastanza variopinta. Non sono mancati, infatti, i classicissimi come “Male di miele”, “Voglio una pelle splendida”, “Lasciami leccare l’adrenalina”, “Bye Bye Bombay”, “Ballata per la mia piccola iena” ed una pessima (ahimè) reinvenzione di “1.9.9.6.”, e neanche hit recenti come la sanremese “Il paese è reale” (una bella e fresca esecuzione) ed il pezzo più riuscito dell’ultimo disco I milanesi ammazzano il sabato, ovvero l’estremamente toccante “Musa di nessuno”. Di contro, alcune fasi del concerto sono state pesantissime, perse tra brani minori e noiosi (tra cui l’intervento dell’ignoto duo che aveva precedentemente aperto il concerto), fino ad arrivare all’imbarazzante cover di “What A Wonderful World” di Louis Armstrong, poco prima del lento e stentato finale (sarebbe meglio che la band revisionasse l’ordine delle proprie scalette).
Secondo. Gli Afterhours sono Manuel Agnelli. Non solo scrive tutte le canzoni, ma pure sul palco è palese l’importanza del cantautore nell’economia del gruppo. Canta, suona la tastiera e la chitarra, si prende carico di tutti gli assoli e pure di tutta la scena, lasciando le briciole agli altri membri della band (che non a caso, quasi tutti, si sono avvicendati negli anni). E’ un artista che può piacere e/o può far schifo, e sicuramente non sarà un frontman come Mick Jagger, ma fa la sua porca figura ed è sicuramente un personaggio di tutto rispetto. Coadiuvato da una sezione ritmica solidissima (Roberto Dell’Era al basso e Giorgio Prette alla batteria) e dalle preziose rifiniture dipinte dal violino di Rodrigo D’Erasmo (mentre l’altro chitarrista Giorgio Ciccarelli appare come un’entità ectoplasmatica, decisamente impalpabile) la performance è di notevole impatto, e diventa perciò, lampante (ancora una volta), il motivo per cui alcune band raggiungano il successo ed altre invece, presto, cadono nel dimenticatoio.
Encore. Discreto concerto, equilibrio tra momenti esaltanti e cagate allucinanti. Un po’ la storia di una band, che, tra alti e bassi, continua a piacere. Non a tutti.
Articolo del
17/08/2009 -
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