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Quando si parla dei Residents si pensa più ad un gruppo performativo avant-garde che ad una vera e propria band. Attivi dalla prima metà degli anni '70, si sono sempre autoesclusi dai grandi circuiti di musica commerciale. In antitesi alla mentalità sessista del mondo rock, il gruppo assume la connotazione di un gruppo fantasma avvolto da un'impenetrabile aura di oscurità e di mistero (niente volti, niente nomi, niente interviste). I suoi membri si nascondono dietro enormi maschere a forma di un gigantesco bulbo oculare.
Per essere precisi, la band prende forma a Shreveport, in Louisiana nel lontano 1966 e deve il nome a quando la Warner Bros. gli rispedì il demo indirizzandolo semplicemente ai "residenti". Il loro intento era quello di traghettare la psichedelia un passo avanti. Nel 1972 si auto-produssero il disco d’esordio intitolato “Santa Dog”. Da un punto di vista evolutivo, il rock in quel periodo attraversava una fase di stallo. Alcuni dei suoi alfieri più rappresentativi (Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison) erano caduti per sempre vittime sacrificali della grandezza del proprio mito. Da una parte vi era un senso di disillusione post-Woodstock acuito ulteriormente dalle stragi della “famiglia Manson” e dai sanguinosi avvenimenti del concerto di Altamont del 1969. Dall’altra vi era l’incedere sempre più invadente e nauseabondo dei pomposi capricci scolastici di stampo “wakemaniano” e dei lustrini glam. Di fronte a questi orpelli, i Residents rispondono rifuggendo qualsiasi canonizzazione di stampo prettamente rock per adottare, invece, come punto di partenza, una destrutturazione di tutti i punti cardine di quest’ultimo. In netto anticipo rispetto ai gloriosi aneliti indipendentisti post punk di fine anni Settanta, avevano capito come il non essere musicisti, ma bensì artisti tout court, potesse essere l’unica garanzia di massima libertà creativa. “La strada giusta per l’originalità era, a loro dire, imparare da soli”. Ed ecco che, allo schema classico “strofa – ritornello – strofa” musicato da chitarra, basso e batteria si sostituiscono collages di frammenti sonori, suoni campionati, ululati beefheartiani e rumori d’ogni sorta. Le partiture bizzarre diventano lo spunto per una rilettura della realtà circostante fatta di toni ironici e di contorni grotteschi. Sospesi tra John Cage e Frank Zappa (al quale sovente si finisce per rivendicarne la paternità del progetto), non c’è stile musicale, standard, hit single che non venga riletto, smantellato e dissacrato attraverso semplici trame e jingle ipnotici.
Beh, a dire il vero tutto questo pippotto introduttivo serve anche a mettervi in guardia della possibilità che possiate annoiarvi seriamente ad ascoltare i loro dischi qualora non riusciate a sintonizzarvi sulla loro banda di frequenza. Non ci sono melodie accessibili, ma cocktails micidiali di rock, elettronica, noise, vaudeville, sperimentazione avant-garde ed elementi orientali ed africani. Tradotto in termini pittorici l’effetto potrebbe essere come quando si passi improvvisamente dal manierismo di Raffaello alla Pop Art di Andy Warhol. La loro musica necessita di ripetuti ascolti ed è rivolta ad pubblico attento e curioso di percepire la forma artistico musicale in maniera differente ed anticonvenzionale.
La produzione musicale della band è incredibilmente ricca con oltre cinquanta album all’attivo. Per rendere l’impresa meno titanica, consiglio di ascoltare, in primis, l’album d’esordio “Meet The Residents” (1974) la cui trasfigurazione della famosa copertina di Meet The Beatles già la dice lunga sulle intenzioni della band californiana. Qualora, poi, entraste in sintonia con il mondo Residents, allora andate avanti con le sperimentazioni di “Not Available” (1978), la world music di “Eskimo” (1979), la stravaganza di “Commercial Album” del 1980 (quaranta pezzi della durata di 60 secondi ciascuno come ironica denuncia sociale nei confronti dell’invadenza dei jingles pubblicitari), “Mark Of The Mole” (1981) ed, infine, “God In Three Person” (1988).
Difficile che qualcuno canticchierà mai le loro canzoni sotto l’albero di natale. Sicuramente saranno ricordati come coloro che, in continua sfida con le regole dei generi, hanno dato un decisivo impulso all’evoluzione musicale traghettando la psichedelia di fine Sessanta fino alle porte del post punk e della new wave ed anticipando la world music. Senza la loro genialità sarebbe stata impensabile la “danza moderna” dei Pere Ubu, la musica concreta industriale dei Throbbing Gristle, la devoluzione dei Devo e l’esotismo dei Talking Heads.
Articolo del
22/08/2009 -
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