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La scelta delle luci rosse sul palco non è casuale. Ricordano non poco la copertina di The Winding Sheet, album solo di Lanegan del 1990, o almeno così mi piace pensare mentre dalla prima fila sorseggio la mia birra in attesa dell’inizio del set. Ci sono i Soulsavers a Milano ed è un’innegabile buona notizia per chi non è riuscito a vederli l’anno scorso e per tutti i nostalgici dei bei tempi che furono, incarnati senza ombra di dubbio nel taciturno Mark. In partenza va fatto un applauso bello grosso al Magnolia, l’unico locale abile a programmare un’estate musicale degna di questo nome, allestendo una piccola oasi di felicità nel cuore di Milano. L’evento settembrino che ha permesso tutto questo si chiama Magnolia Parade e vede in cartello una buona quantità di spunti, su tutti Peaches e Moderat, oltre ovviamente a Lanegan e Soulsavers in grado questi di riempire la platea raccogliendo al loro capezzale un pubblico da grande occasione. Si sta bene al Magnolia, niente da dire.
Arrivando poco in anticipo m’imbatto nella coda dei Fratelli Calafuria, giusto un paio di pezzi prima di lasciare il palco ai roadie dei Soulsavers. Il set inizia quando l’orologio segna un quarto a mezzanotte. Salgono sul palco tutti tranne Lanegan che si riserva il ruolo dell’ultimo che chiude la porta. Quante ne ha fatte questo nella sua vita? Collaborazioni con mezzo mondo (Gutter Twins, Isobel Campbell, QOTSA) dischi solisti da strapparsi i capelli e un pezzo di storia dell’alternative scritto con gli Screaming Trees. Se io fossi in lui, starei a tirarmela dalla mattina alla sera. Lanegan invece tace, resta ad occhi chiusi e canta con quella voce che non si sa da dove venga. Sbircia ogni tanto ma poca roba. Guai a parlare, stiamo scherzando? E per una volta sono convinto che sia il modo giusto di porsi, perchè con addosso una storia del genere e una nomea da vero sopravvissuto di una stagione folle ormai persa, beh non hai più niente da dire o dimostrare. Silenzio, voce e chi ascolta è un di più per chi canta. Molto intima come cosa, molto significativa. Il set è buono e breve. Un’oretta scarsa che mi permette di rientrare in condizione dopo la pausa estiva, un rientro che deve essere graduale ma che parte con il botto in quanto a qualità. I pezzi sono una dozzina e spaziano dal primo album della band, il bellissimo It’s not how far you fall, it’s the way you land del 2007 da cui segnalo la sempre meravigliosa Jesus of nothing e la ben accolta Kingdom of rain, fino ad alcune anteprime evidentemente già rodate tratte dall’album appena uscito Broken. Dei Soulsavers senza Lanegan va detto che sono una band matura, ricca di idee e molto affascinante. Hanno il tempo di dimostrarlo dopo la chiusura della prima parte affidata a Hit the city del 2004 a nome Mark Lanegan Band, quando sul palco rientrano non accompagnati dal protagonista ma da By my side, un pezzo incantevole e significativamente più legato alla produzione standard della band. Rientra poi Lanegan e prende il palco per il gospel Revival, sancendo la conclusione dei giochi.
Poche considerazioni finali. Un bel set, molto breve ma sicuramente adatto all’ambiente e al periodo. Ottimo sound e incredibile presenza scenica. Lanegan è un’anima scura in grado di regalare perle meravigliose e impreziosire qualcosa già fin troppo bello. Vederlo da così vicino è un viaggio nel tempo insperato, un grande piacere che però tradisce un filo di malinconia.
Articolo del
10/09/2009 -
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