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Essendo canadesi, i Sunset Rubdown credo possano immaginare benissimo cosa sia la solitudine. E quindi non dovrebbero averne troppa paura. Ma una cosa è la solitudine fatta solo di natura e di spazi immensi di un paese enorme in cui le poche città grandi sono tutte appena al di là del confine con gli Stati Uniti. E’ una cosa suggestiva e stimolante. Tutt’altra cosa è invece la solitudine di un viale industriale fuori da Trezzo sull’Adda alla domenica sera. Di un parcheggio gigantesco quasi del tutto vuoto. E di un locale (anche bello, con due delle quattro pareti interamente coperte da immagini video) mezzo vuoto che non si capisce cosa ci faccia lì in mezzo alle fabbriche e ai grandi magazzini. Questo tipo di solitudine è semplicemente un po’ triste. E forse a questo tipo di solitudine non erano del tutto preparati.
E in effetti la prima immagine della band di Spencer Krug non è il massimo. Silenziosi e un po’ spaesati, a prepararsi da soli il palco dopo i set di Francesca Lago e di Peter Kernel. Poi però, appena inizia a parlare la musica, è tutta un’altra cosa. Krug e gli altri non si risparmiano, passando con disinvoltura da uno strumento all’altro (piano e chitarra elettrica per il vocalist, sintetizzatori, tastiere, chitarra, basso e xilofono per gli altri) e alternando momenti più intimi (ma sempre caratterizzati da effetti e distorsioni molto pieni) a momenti invece di assoluta energia anche grazie, in alcune tracce, alla doppia batteria. Col passare delle canzoni, quasi tutte molto lunghe come del resto nelle versioni in studio, Krug, forse colpito dall’entusiasmo che, comunque, le poche decine di persone presenti continuano a dimostrare in ogni momento, si lascia andare anche a qualche chiacchierata. Dai ringraziamenti e dalle incognite legate alla loro prima volta assoluta in Italia fino a un racconto di un improbabile incontro con una signora del posto. Il tutto in mezzo alle varie tracce (dall’iniziale “The Empty Threats Of Little Lord” e “Snakes Got A Leg III” tratte dall’album “Shut Up I’m Dreaming” fino a quelle del recentissimo “Dragonslayer” come “Idiot Heart”, “Silver Moons”, “Black Swan” e “You Go On Ahead -Trumpet Trumpet II-”) che, anche se magari non sempre facilissime e forse eccessive qua e là negli effetti di fondo e nelle distorsioni, hanno, guidate dall’intensa voce di Krug, una loro forza e uno stile assolutamente particolare e riconoscibile. E nella scena di oggi, l’essere riconoscibili (a scapito anche dell’essere commerciabilissimi) è già di per sé una nota di merito.
Alla fine, quindi, peccato solo che fosse una domenica sera su un viale fantasma di Trezzo. Forse in altre circostanze più gente avrebbe potuto apprezzare o scoprire un gruppo che assolutamente lo merita. Comunque, per quel niente che può valere, a me è piaciuto molto lo stesso.
Articolo del
28/09/2009 -
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